La maie dal Udin par me e je dome a riis blancjis e neris. Lis acuilis mi plâs viodilis a svolâ su la curve come che za di cualchi an (no tancj) al sucêt.
Secont me prin di dut, l'Udin al è leât al Friûl e cuant che si fevele di tifoserie e passion al è facil che lis reazions a sedin fuartis: ve ca ce che si lei sul blog di Alduti.
Cussì al è normâl che al sedi vignût fûr un grant riviel dai tifôs cuant che a àn viodude une altre acuile su la maie dal Udin: ancje il Pionîr mi somee che al è stât clâr.
Se mi vessin domandât a mi, ancje jo o varès conseât cheste acuile (te foto in bande): chê de Bandiere de Patrie.
Grant suces di “Stin dongje ae Patrie”, la tierce edizion de fieste dal
nestri gjornâl
-
Pe rassegne Avostanis, li dai Colonos a Vilecjaze di Listize, il mont des
associazions, de culture, dal spetacul, dal sportsi è strengjût intor dal
gjornâl...
3 settimane fa
17 commenti:
O premet subit une robe: ancje a mi mi plâs di plui la nestre acuilute (o ai sù propite la so maiute in chest moment). Ma secont me il balon nol varès di jessi un pretest par sbandierâ diferencis e confins teritoriâi; l'Udin al rapresente une biele e sane realtât de nestre regjon (a diference di tantis altris scuadris) e metie sù un simbul che, o ripet, par trop biel e impuartant che al è par no, al è pur simpri un segno distintif di une sole bande dal nestri teritori, no mi sarès sameât just. Pluitost jo no varès metut nancje chel di cumò. Il sport, almancul chel, al à di unì, no dividi.
E si parceche l'Udines e je furlane.
E cuindi e a di meti le acuile dal partiarcje bertrand invecite di che dal FVG.
Ma veramentri el furlanis isal rapresentat di cheste polemiche steril.
O isal dut el urlo che le vos libare e po fa?
ps.
E je plui furlane le triestine visto che e je di Fantinel.
thermo i toi coments a son simpri di decifrâ: scrif ben, sumò!
l'udines-l'udinese
invecite-invezit
el furlanis-?
el urlo-l'urlo
=)
Ninine, ninine, ninine....
jo ti visi, al a gia provat el paron dal blog a mename cule grafie, e si e fat mal :-D
in somp ancje le polemiche sule acuile e je une cuistion grafiche no?
e poi pense: tu as let cun atenzion ogni peraule, di ce varessio di avilimi? :-DDDDD
Comuncue, chest al e ce che scrif Repubblica dai Furlans, o cjati vonde fur luc discuti di acuiles:
LUNEDÌ, 21 LUGLIO 2008
Pagina 24 - Cronaca
Una mamma dava il Verduzzo nel biberon al neonato per non farlo piangere
Nel Triveneto il 74% dei teenager beve con lo scopo di andare "fuori di testa"
Finito il lavoro si vive con il cocktail in mano per anestetizzare una paura misteriosa
In autunno qui scatterà il primo piano regionale per contrastare il fenomeno
(SEGUE DALLA COPERTINA)
DAL NOSTRO INVIATO
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giampaolo visetti
La realtà, ostinatamente nascosta per interesse e per vergogna, è questa: l´Italia, sempre più povera, delusa e priva di speranza, si dà al bere. In Friuli, nel Nordest e nel Paese, l´alcol sta sostituendo le altre droghe. È la terza causa di morte, la prima per i ragazzi tra 18 e 25 anni. Ne assorbiamo 58 ettolitri all´anno. Sette italiani su dieci sono grandi consumatori. Venti bambini su cento iniziano a bere tra gli 11 e i 15 anni. Ogni anno, a causa dell´alcol, muoiono sul lavoro 750 persone. La metà dei morti sulla strada va ricondotta alla bottiglia. Le vittime, solo in Friuli, nel 2007 sono state 1500. Insufficienti i controlli. Gli alcoltest, in Italia, sono 400 mila all´anno: 10 milioni in Francia. La probabilità è di essere fermati una volta ogni due vite. Sei persone su dieci, nel Nordest, consumano quotidianamente alcol lontano dai pasti. Gli italiani colpiti da gravi disturbi sono 12 milioni: 14 mila in cura nella regione friulana. Le cifre, dal 2002, si moltiplicano vertiginosamente. I giovani alcolisti, nel Paese, sono ormai 1 milione e 300 mila. Quattro decessi su dieci, negli ospedali, sono dovuti all´eccesso di alcol: 44 mila, negli ultimi tre anni, i ricoverati in Friuli. «Un trapiantato di fegato - dice Paolo Cimarosti, tossicologo di Pordenone - costa 300 mila euro. Ogni anno almeno 300 interventi sono dovuti all´alcol. Eppure scrivere che un paziente è alcolista, resta un tabù. Scorro cartelle dove si parla ancora di «epatopatia cronica nutrizionale», invece che di «cirrosi epatica alcolica». Intanto scoppia la bomba dello sballo da week-end». Nel Triveneto, ossessionato da lavoro, ronde xenofobe e neo-precarietà, è uno choc. Il 10% dei teenager si ubriaca almeno una volta alla settimana. Il 74% si abbandona al «binge drinking»: oltre sei bicchieri in poche ore con l´obbiettivo esclusivo di andare fuori di testa. Quanto c´è, da dimenticare? In tre anni il fenomeno è triplicato e ormai colpisce anche sette ragazze su dieci. Il record è in Friuli Venezia Giulia: il 14,2% della popolazione, sotto i 24 anni, eccede con l´alcol lontano da casa e più di due volte alla settimana. Tra vino, birra, superalcolici e alcolpops, le nuove bibite gassate a bassa gradazione, si spendono 129 mila euro al giorno: poco meno di 6 mila, negli ultimi 3 anni, le vittime. «I dati - dice Valentino Patussi, responsabile della medicina del lavoro a Trieste - sono ancora incompleti. Dal 2003 il cambiamento è travolgente. In fabbriche e cantieri iniziamo a scoprire che il 51% degli infortunati ha tracce di alcol nel sangue. La maggioranza dei vecchi fratturati in casa, o per strada, cade perché ha bevuto troppo. Avanza uno spaventoso alcolismo senile da solitudine, mentre un giovane su due deve il ricovero alla bottiglia. Dobbiamo ammettere che il problema è stato drammaticamente sottovalutato». «Crociate, demonizzazioni, proibizionismo e moralismi - dice Bernardo Cattarinussi, sociologo dell´università di Udine - non danno risultati. Siamo però di fronte ad un´emergenza senza precedenti: chiederci perché la società italiana si suicida con l´alcol, perché gli adulti considerano i giovani un mercato da sfruttare ad ogni costo, è un dovere».
Lo spettacolo, vagando al tramonto tra la baia di Sistiana a Trieste e gli happy hours offerti dai caffè su piazza Matteotti a Udine, è impressionante. Finito il lavoro, si vive con il cocktail in mano. Una tempesta alcolica: sagre del vino, feste della birra, cantine aperte, serate del prosecco, rave party, drive-beer, pub che promuovono il «drink as you like», o il «paghi uno e bevi tre». Al ristorante il cameriere ti riceve solo con lo spumante in mano. Migliaia di adolescenti e di adulti svuotano calici colmi di ghiaccio, alcolici fosforescenti e mix a base di vodka e taurina. Una comunità impegnata, pubblicamente, ad anestetizzare una paura misteriosa con un´autoprodotta droga legale. Sottrarsi al rito costa imbarazzo e diffonde uno stupore ilare. «Per restare nel gruppo - dice Andrea, 36 anni, agricoltore di Duino - in due anni sono arrivato a bere 5 litri di vino al giorno, o 40 bicchieri di superalcolici. Un professionista. Scambiavo i miei incubi, fuochi e serpenti, con la realtà. Cercavo di uccidere l´ansia, di arrivare in cima al dolore: non ci sono mai riuscito». Medici e psichiatri puntano il dito contro l´ipocrisia delle leggi. In Italia, ai minori di 16 anni, è vietata la somministrazione di alcol, ma non la vendita.
Un´assurdità controproducente: ciò che è consentito alla commessa, a prezzo di paghetta, è precluso al barista, ad un costo da stipendio. Le aziende, a differenza della maggioranza dei Paesi europei, possono fare pubblicità. Sulle bottiglie non si scrive che l´eccesso «nuoce gravemente alla salute», come sulle confezioni del tabacco. Negli uffici pubblici, ospedali compresi, il fumo è vietato ma l´alcol è a portata di mano: non si può acquistare, ma «assumere» sì. Concerti rock, mostre d´arte ed eventi sportivi sono sponsorizzati dalle industrie degli spiriti. La televisione martella con gli spot che spiegano come l´alcol sia il sigillo di successo, ricchezza, amore. Lo Stato, per contrastare ufficialmente l´alcolismo, investe gli spiccioli delle imposte sugli alcolici. Nessun ticket aggiuntivo, per gli alcolisti. Il licenziamento per giusta causa o le ferie forzate, se uno lavora nonostante la sbronza, sono vietati. Solo a Pordenone, da due anni, sindacati e imprese collaborano per un accordo anti-alcol sul lavoro. In autunno la Regione potrebbe essere la prima ad approvare un piano contro l´alcol alla guida e nei luoghi di lavoro. «L´82% delle persone con gravi problemi legati all´alcol - dice Rosanna Purich, psicoterapeuta del centro di alcologia di Trieste - considera però il proprio comportamento normale. Nelle scuole, medie e superiori, la bevanda preferita è il «Bacardi Breezer», seguita dal «Campari Mixx». Non si capisce più la differenza tra un´aranciata e una grappa. Siamo al killeraggio dell´offerta-studenti: come se uno che per divertirsi è obbligato a ubriacarsi, fosse normale».
Friuli e Venezia Giulia non sono l´epicentro della crisi di una nuova società «costretta all´alcolismo per restare in corsa». Sono però, assieme a Veneto, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna, la sconcertante punta dell´iceberg di un´emergenza nazionale prossima all´esplosione. L´allarme unisce medici, psichiatri e sociologi: l´Italia è alcolizzata perché è malata e soffre perché non crede più nei valori civili espressi dalla sua classe dirigente. «Dopo vent´anni di veti - dice la responsabile del Sert di Trieste, Roberta Balestra - in ottobre si terrà la prima conferenza nazionale sull´alcol. Per approvare la prima e inadeguata legge contro l´alcolismo, nel 2001, c´è voluto mezzo secolo. Si insegna a «bere bene», invece che a «bere meno». Si tuona contro la «velocità assassina», invece che contro la «bottiglia omicida». Piuttosto che chiarire la causa, si criminalizza l´effetto. Nel frattempo le strutture che combattono l´alcolismo sono lasciate senza soldi e i servizi, senza personale, e chiudono».
A far riflettere, la diversa considerazione tra alcol e droga. Il primo è legale, tollerato e promosso. La seconda è illegale, demonizzata e rimossa. «La bottiglia - dice lo scrittore triestino Mauro Covacich - non richiede pusher. Anche un bambino può portarsela in giro e tracannare whisky alle feste di compleanno. Un litro di vodka costa pochi euro, non come una dose di coca. Lo trovi vicino alle patatine e nessuno ti sbatte dentro. Al Nord l´alcol è ormai l´ultimo collante della comunità dei normali che studiano, lavorano e producono: il loro estremo e tragico anestetico sociale». Davanti alla strage in Friuli, timidamente e per la prima volta, si comincia così a discutere. La domanda è: se l´Italia non fosse uno dei principali produttori di vini pregiati e distillati di qualità, si userebbe il termine droga anche per l´alcol? Si chiamerebbe tossicodipendente anche un alcolizzato? Si definirebbe overdose una sbornia? «La differenza - dice l´alcologo giuliano Salvatore Ticali - in effetti non c´è. Se l´alcol dovesse essere iniettato con la siringa, o dovessimo importarlo, sarebbe vietato da anni. È chiaro che la pressione dei produttori italiani è decisiva. Si è iniziato a parlare di una legge contro l´alcol negli anni Settanta: in parlamento piovvero 800 emendamenti per bloccarla. In regione, anche alle ultime elezioni, si sono svolti comizi offrendo da bere gratis. Oggi chi nega che l´alcol sia una droga, deve assumersi le proprie, pesantissime, responsabilità. Il mondo politico, riluttante a informare e a investire nella prevenzione, rischia di macchiarsi di una storica omissione».
Non che, in termini assoluti, il consumo sia aumentato. Il problema è il suo devastante cambiamento. Si beve dalla prima adolescenza, con l´obbiettivo di ubriacarsi, per non essere diversi ma puntando ad isolarsi. «Esordienti dell´alcol - dice Anna Peris, responsabile regionale della direzione salute - ma con l´atteggiamento del vecchio alcolizzato. Nessuno li informa che bere sotto i 16 anni quadruplica le probabilità di ritrovarsi alcolizzati dopo i 21». Si sballa più volte alla settimana e con bevande dolci in cui l´alcol è scientificamente nascosto. Così le femmine, da un paio d´anni, consumano quasi le stesse dosi di alcol dei maschi. Gli anziani, con pensioni da fame, abbandonati o nelle mani delle badanti, adottano la bottiglia quale alternativa all´eutanasia. «Uno scandalo - dice Anna Muran, medico dell´Asl di Trieste - misconosciuto. Le chiamate, dalle case di riposo, aumentano ogni giorno: c´è chi baratta la bistecca con lo spriz».
Tra Sauris e Ravascletto, nelle montagne della Carnia e tra i colli di San Daniele, i frequentatori degli alcolisti anonimi e di quelli in trattamento, superano pompieri volontari, ex alpini e parrocchiani. Un esercito: 250 tra gruppi e club, 3500 in cura, 358 associazioni mobilitate, centinaia di degenti e migliaia di curanti. Eppure, vicino alle discoteche, aprono i chioschi che possono vendere alcol anche ai ragazzini e dopo le 2 di notte. «Dal barbone sulla panchina - dice Franco Boschian, presidente dell´Acat di Udine - siamo però passati all´avvocato nel wine-bar. Gli alcolisti in trattamento non sono emarginati, ma persone normali: vescovi, generali, bambini, manager, medici, operai, preti, politici, mamme, studenti. Ricchi o miserabili, sono afflitti da un incubo comune: rivelare il loro stato ai conoscenti. Nelle serate degli incontri, tra province e città diverse, le colonne di auto sono sempre più lunghe». Pino Roveredo, scrittore triestino di essenziale poesia, è tra i pochi che resistono. «Ho iniziato a 15 anni - dice - e a 17 ero in galera. Mi hanno definito «irrecuperabile». Invece la scrittura è stata più forte della paura di vivere e mi ha salvato. Non mi impressiona l´alcolismo, ma la noia disperata che oggi lo alimenta. I ragazzi non vogliono più sentire i morsi dell´esistenza. Possibile che una simile emergenza non sia in cima all´agenda di un governo che trova il tempo di prendere le impronte a una manciata di zingari? L´accettazione sociale dell´alcol, in Italia, è incredibile».
E´ una notte marina e sugli spettri umani del centro alcologico residenziale, nel parco di San Giovanni a Trieste, soffia il vento che arriva dall´ex Jugoslavia. Ogni annullato è un reduce, un morto sopravvissuto a un lutto ideologico, culturale, o affettivo. Dino e Maura fumano. Siedono fuori dall´ingresso, sotto l´ombrello di quattro pini. «Ho bevuto per protesta - dice lei - mi sono fidata degli Intillimani». Lui dice che ci è caduto «per non salire alla risiera di San Sabba, con il vino nelle vene per guardare nel fondo della fessura che ha inghiottito due millenni».
L´Italia che ha superato il Novecento e il Nordest che si cancella brindando all´incubo del suo ritorno: riflessi assieme, fiasco contro flut, in un doppio specchio.
Cuant che une notizie o un argoment a dan fastidi, ma ce tant fastidi che no si rive a rispuindi, alore la uniche pussibilitât e je «il benaltrisim».
Si trate di un espedient retoric: tu disis "e chest isal un problema? Ma nancje tabaiâ: e je cheste robe une vore plui grâf...."
AH AH AH!
Thermo, ce brut rientri che tu âs fat, uh uh uh
Ce fastidi che une vore di tifôs e vedin protestât, che une vore aromai a san cuale che je la bandiere dal Friûl, DIVIARSE di chê de Regjion FVJ. E je une robe che a à meraveât ancje me, figuriti cemût che ti sês sustât tu, AH AH AH
dal vergognôs servizi di Repubblica (ah, cunt che al jere Illy, sì che i furlans no si incjocavin) fasìn un post no? E je une robe cussì impuartante...
AH AH AH
braf Dree cumo tu as cjatat le figure retoriche dal benaltrism...
Un sugjeriment brevetile ma o ai pore che al ufici brevets ti disarna che al e ben altri...AHAHAHAH
O vevi za lete di cualchi bande une discrete acrobazie par demonstra che in friul al e impuartante DISCUISI se un a un pedon j'e passat denant Fontanin che no si a fermat sules strisses.
Cumo o ai capIT parce tu as fermat el blog.... tu as benaltri ce fa
:-DDD
(une volte tu eris mancut tegnios.... ancje jo....)
Bundì
1) pe Ninine:
o premet che a mi dal balon no mi free propite nuje e puedin siarlu doman di matine ma posto che tancj lu considerin un simbul dal Friul (come lis Frecis tricolors, j alpins) ti dis cjare ninine che i simbui ben o mal alc e vuelin di, in ogni contest e chist al è chel di dopra ator pe Italie e per Europe le acuile di Bertrant o che sotane; no crot che tu tu acetaressis sule targhe de to machine une sigle di province difarente, o tu metaressis su une maute cun le svastiche se no tu ses propite une patide pal nazisim, e di sugur i triestins (justamentri) no metaressin su mai une mae cun tune acuile, di nissune fate par no ve nissun miscliciament cui furlans. E po Ninine prime di benedi l'Udines come "sane realtat" i pensares dos voltis: domanditi parce Pozzo sule cjarte nol risulte President da l'Udines ma invesit al è Soldati, e po volino fevela di ducj i tocjos che àn sbroat le gjestion societarie? (ripasse un pocje di cronache da l'Udines dai ultins 20 ains).
2) par Tremo:
se no tu ses bon di fa un rasonament sun tun argoment metiti in bande e propon alcaltri; vutu fevela dal bevi e dai cjocs? bon o concuardi cun te che e je une grande plae de nestre tiare ma in chist cas cir di jessi coerent e domandigj al to ami Tondo di no da fur nissun contribut pal sostentament dal vin e di duttis lis sagris dal vin de bire de sgnape e vie indevat, come che tu podaressis fati paladin dal fat di no viargi casinòs te nestre regjon posto ch'o vin za vonde doredi che stassin beçs in Slovenie ruvinat lis lor fameis e lis lor aziendis.
mandi checo
Mi pareve che al mancjave il sapienton in chest post...cjâr checo, visto che tu vulis tirâ fur polemichis a ogni cost, ti spieghi che jo o velevi dome dì che no mi samee just che il sport al deventi dome un pretest par creâ lotis (come che al è vignut fur in chest cas de maiute) ma un mut di vivilu il plui serenamentri pussibil. Jo no crot che cui che al à metut la acuile "contrafate" lu vedi fat dome par fâ sustâ i furlans.
P.S. imagjini che tu no tu sedis mai lât a cualchi fieste dal vin, de bire, de sgnape e v. i.
Si capis un tic la che al sta ciert furlanisim: t'une curve!
Cjâr Thermo, il benaltrisim al lave di mode come tiermin almancul tre agns za fa, pai blog. Nissune creazion mê, trancuil. Tu tu le âs scuviarzude di resint, ma tu sês deventât un esperton: tu le dopris ancje tal coment dopo, eh eh.
Però o podarès brevetâ il "mancut tegnios", cuant che o scuvierç ce isal... Ferme chê tastiere!
Par Ninine
jo no crot che daur de cuestion de acuile e sedi le volontat di stiça i furlans ma di sigur daur e sta une buine ignorance su l'argoment e tante pocje sensibilitat.
Su lis sagri alcolichis: jo no soi par tira vie i contributs aes sagris, e je une provocazion par Thermo e al so la fur argoment però o concuardi cun lui che il masse bevi in Friul al è un grant probleme ch'al mertares un grant impegn parceche e son tantis lis personis e lis fameis ruvinadis par no fevela dai zovins.
Ninine oltri che a sustati se no si fevele di monadis rivitu ancje a di alc di sest? Su su une zovine dotoresse come te si sperares che vedi alc di di oltre che di rabiuciasi.
Une bussade tal rusumui (Christian permetint)
checo
mi pâr che si tabae cence sei dai frecuentadôrs abituai dal stadi... a Udin già dai prins ains otante tal setôr "gradinate" e jerin un pâr di bandierons bocons dal club Fedelissimi Adegliacco di cui un al veve une grande acuile (che come stîl e ricuardave che de province di Udin). tra le fin dai ains otante e i prins ains del novante e nassevin doi grups di curve NOrd Kaos e Nukleo Milano che tal striscon/logo e tal materiâl e vevin le acuile furlane. Già a le fin dai ains otante jo e atris si giontave le acuile furlane ai colôrs de scuadre. dut il materiâl produsut di clubs e grups di curve se e an une acuile e je chê furlane. e podopo... ogni an e vignive fûr cualchi letare tal menzoniero par domandâ ae societât da l'Udin di dâ plui evidence al vivâr da l'Udin e proponi campions di chenti cussì come che cualchidun al domandave se al fos stât pussibil inseri el steme dal Friûl de divise da l'Udin. per chel che a rivuarde le frase "il sport al à di unî e no di dividi" mi somee butade li ... nol è che par chest france e italie e dopris le stesse mae e bandiere. il sens da l'unî al intint le passion e l'amôr il spirt dal/pal sport e no atris robis. mi doi di maravee par chiste frase somee cuasi che cumò l'Udin al puedi stâ sot le bandiere dal "triveneto". ma noatris chi cui nestris blogs e v.i. no sino chi a marcâ lis difarencis par podê fâ vivi/sorevivi/rivivi le nestre identitât cun rispiet e cence meti i pîts sul cjâf a dinissun ?! ma par l'amôr di diu, fasinsi rispietà.
le acuile FVG le an mitude par omologâ i residents de regjon. par chel che a rivuarde di doprâ il sport tant che vetrine par marcâ certis robis ... beh provin a viodi lis olimpiadis, and'è sucedudis di ogni sorte... ancje ta chiste mi pâr, nomo? mandi
O acuile (Zico) o Austrie!
Compliments.
Par Fantat,
e je vere jo personalmentri no frecuenti il stadi, l'ultime volte e je stade le stagjon di C e di B de dople promozion cun Giacomini, po o soi tornat dome 5 o 6 ains za fa (Udin-Fiorentine) cun me fie par fagj fa une esperience e duncje Fantat ti ringrazi pes tos informazions e precisazions su ce che àn fat i tifos in chiscj ains.
Jo no mi sint dongje dal ambient de tifoserie da l'Udin ma o ricognos une gjenuinitat semplice tal iessi tacats ae proprie tiere. Al sares une vore util che no ve tante puce sot dal nas e che ducj chei che an a cur il Friul dai inteletuai ai sostenidors da l'Udin di podedin cjata e fevela par viodi ducj insieme cemut nudri e vivi le nestre culture.
mandi checo
sul gazetin 26.07
Quell'aquila
non è un simbolo
triestino
Se, per loro e per certa stampa, l'aquila del Friuli, quella medievale di Aquileia, è davvero un grifone mentre quella della regione è soltanto un simbolo triestino e non invece la più antica aquila aquileiese conosciuta, legata al ricordo della più famosa e vittoriosa resistenza popolare della nostra storia, fatto in cui gli udinesi e friulani si sono riconosciuti da sempre, orgogliosamente, è assurdo parlare di identità, di friulanità! Se sono questi i termini con cui fra gli sportivi friulani si contesta la scelta dell'Udinese di riportare sulle magliette della squadra il simbolo del Friuli Venezia Giulia veramente "puars i miei bêçs!". Ecco i risultati di tanta promozione istituzionale della lingua friulana evidentemente scollata dalla cultura e dall'identità storica dei Friulani. Ecco i risultati di tanta promozione istituzionale della friulanità la cui storia viene trattata in modo tale che addirittura una mostra e relativo catalogo dedicati recentemente dalla Provincia di Udine alla storia del Friuli dimenticano spudoratamente di ricordare in modo adeguato la Contadinanza: come parlare della storia francese senza dedicare il dovuto accenno alla celeberrima Rivoluzione! È senz'altro vero che la Regione ha fatto ben poco in materia di valorizzazione socioculturale del proprio simbolo. Chiedevamo questo il 12 luglio 2005 all'allora governatore regionale. Si sono spesi soldi per ridisegnare il logo ma certamente non per promuoverne la conoscenza e l'adesione sociali. Ed ecco i risultati. Friulani - anche dell'intellighenzia più benpensante e istituzionalizzata - che rifiutano come simbolo "triestino" l'antica aquila aquileiese inalberandone una versione medievale a cui non riconoscono più nemmeno i connotati di aquila ma di grifone. E non parliamo di altre amenità. Si tratterebbe - riporta certa stampa - del grifone simbolo della famiglia del patriarca aquileiese Bertrando (che fu uno dei pochi ad usare pochissimo il suo stemma gentilizio!). A parte il fatto che bisogna vedere quanto gli stessi simboli e colori storici dell'Udinese vogliano dire qualcosa di più del semplice distintivo di squadra per la maggioranza dei tifosi bianconeri. La bandiera udinese, quella cittadina, che oggi sventola sul castello di Udine anche grazie alle nostre, reiterate nostre sollecitazioni - ne riproponemmo dieci anni or sono, il 29 settembre 1998, al Caffè Contarena, una gloriosa versione medievale, con i profili rossi, ricordando le radici democratiche della città, nella ricorrenza delle riunioni dell'antica assemblea dell'"arengo" - significa veramente "qualcosa di più" per le nostre tifoserie sportive? C'è, si sente una relazione fra la bandiera udinese e quella dell'Udinese? Quanta udinesità, quanta friulanità, quanta coscienza storica, quanta identità vera c'è oggi dietro le bandiere dello sport? Quei colori, anche se chi dovrebbe o potrebbe non ce lo insegna, hanno rappresentato per secoli non soltanto una città a cui la stessa Trieste in tempi remoti chiese soccorso, ma un ideale, culturale, civile, politico, economico, ben travalicante gli angusti confini municipali. Queste cose dovrebbero essere di dominio pubblico non patrimonio di pochi studiosi. Eviteremmo di arrivare al punto di non riconosce più nemmeno i connotati dei nostri simboli e di dimostrare quanto poco fondata sia culturalmente nelle nostre coscienze l'identità che diciamo di voler difendere.
Alberto Travain
coordinatore movimento Fogolar Civic
mandi Thermo
Jo chest Travain cuant che al fevele no lu capìs, ma se par te al vâl la pene di tignîlu come consulent, tu sês libar di fâlu...
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