Cualchi zornade indaûr une letare di une insegnante di Buie mi à fat glaçâ il sanc. Vuê par furtune un pâr di letaris i rispuindin e us torni a meti tai coments cheste discussion.
Al veve reson pre Toni cuant che al diseve che buine part des colpis e je dai insegnants che vint la responsabilitât di cressi lis gnovis gjenerazions, a àn il podê di scancelâ la lenghe di un popul!
"Si che duncje, si vierzin lis scuelis.
Coragjo, biâts gjenitôrs che o tradîs la vuestre canaie, biâts mestris che le ruvinais, e soredut biâts fruts che o jentrais contents e cence nissun scrupul là che us coparan!
Tant che un agnel in becjarie".
(Antoni Beline)
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MERCOLEDÌ, 05 MARZO 2008
Pagina 11 - Udine
Il friulano a scuola nell’opinione di un’insegnante di lingue
Più competitivi in Europa studiando inglese e tedesco
DIBATTITO
di LUISA RIVOIRA
Ho assistito con piacere a Buja, dove vivo da anni, allo spettacolo teatrale “Storie dal Cile”, che mi ha molto appassionato. L’unica nota dolente è stata la lettura dell’articolo della professoressa Schiavi Fachin, pubblicato sul periodico dell’associazione organizzatrice del suddetto evento, “El Tomat”, riguardante la varietà di furlan da insegnare nelle scuole della provincia di Udine. Intanto mi presento: sono occitana, nata a Pinerolo (Torino), ma all’età di sei anni non ho più voluto che i miei mi parlassero in patois perché temevo di non imparare bene l’italiano e di avere difficoltà a scuola, ed è così che ora so meglio il cjargnel del patois di Prarostino, una delle varianti dell’occitano parlata nella mia famiglia (grossolanamente, il piemontese è abbastanza uniforme in tutta la provincia di Torino, mentre il patois varia molto da una valle all’altra). Per inciso, mio padre si esprimeva bene in italiano, in piemontese, nel patois di Angrogna (quello dei suoi genitori) e in quello di Prarostino, più limitrofo alla zona dov’era andato a vivere. Ahi ahi, altra nota dolente: il campanilismo che permea questo dibattito sul furlan fa diventare campanilista pure me, che ho sempre amato viaggiare e sentirmi cittadina europea. Espongo ancora un paio di cose su di me e dopo “sferro l’attacco”: grazie al ministro uscente della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, mio compaesano, ho trascorso un anno a Berlino nel 1988, dove ho appreso l’Hochdeutsch. Confesso di essere fiera di saperlo, di essere stata lì e non in Austria o in Baviera. Confesso altresì di essermi ingenuamente stupita di non capire i carinziani la prima volta che sono andata nel loro Land. Un po’ come se uno studente in scambio Erasmus da queste parti, proveniente da Dortmund o da Parigi, chiedesse ansioso: «Ma perché parlate così? Ho studiato l’italiano per dieci anni e non capisco un’acca di quel che dite!». Una volta cominciati gli studi universitari a Trieste, mi stupivo sempre delle lotte intestine tra friulani e triestini; se la memoria non mi tradisce, “tutti” i torinesi prendono in giro quelli della provincia di Cuneo, ma in Piemonte non si percepisce ostilità fra gli autoctoni e i tarun, detti anche napuli, sono ormai alla seconda generazione o più (per non parlare dei nordafricani e di tutti gli extracomunitari che hanno messo radici lì).
Ormai ho passato più di metà della mia vita in Friuli Venezia Giulia, da Trieste mi sono trasferita a Udine e poi a Buja, dal grande al piccolo, sempre più piccolo. Sono lieta di poter aiutare gli studenti delle scuole medie di primo e secondo grado nell’apprendimento del tedesco, ma un po’ frustrata perché in Italia le lingue europee, quelle principali, si studiano poco e male. Mi pare che scervellarsi tanto su “Cual furlan a scuele?” porti sia a difficoltà di abbinamento fra insegnanti e competenze sia alla chiusura mentale. Che cosa significa abbinamento? In una scuola sempre più “ricca” di personale precario i prof scelgono le sedi per le supplenze annuali in base al punteggio accumulato, non in base alle competenze. Può darsi benissimo che una maestra elementare di Paularo venga a insegnare a Buja (i nostri figli cominceranno a dire pup e non più frut), e se fossi destinata a Tarvisio non mi metterei certo a imparare il carinziano per permettere ai miei allievi, un domani, di andare a lavorare a Velden o a Villach: parlerei loro nel modo più intelligibile possibile.
In qualità d’insegnante di lingue, vorrei che le lingue straniere portassero all’apertura, anche mentale e culturale: vorrei che nella scuola media si potessero insegnare almeno sei-sette ore d’inglese e tedesco alla settimana. Alla Realschule di Colonia studiano cinque ore settimanali d’inglese e un po’ di latino, poi a 14 anni si comincia lo studio di un’altra lingua. Perché non cerchiamo di essere competitivi in un’Europa sempre più allargata e in una società sempre più multiculturale? Se i nostri figli lavoreranno in Friuli non credo che avranno problemi se non sapranno redigere una letare formal, o comercial in questo idioma. Se invece, per svariati motivi, si trasferiranno in altre regioni o all’estero, forse malediranno quel prof che insegnò loro la grafie comun anziché l’analisi logica e la composizione di temi, in italiano. Forse, residenti in Toscana, si sentiranno più ignoranti degli altri e andranno a sciacquare i panni in Arno. Qualcuno replicherà che una maggior varietà di lingue allarga gli orizzonti, ma io sono più convinta che ci vogliano poche materie fatte bene. Proprio per l’apprendimento di lingue impegnative come il tedesco è fondamentale avere solide basi di analisi grammaticale e logica, invece mi arrivano allievi, dalla scuola primaria, che confondono aggettivi, articoli e verbi. Se fra qualche anno approderanno alle medie ragazzi che avranno fatto friulano per cinque anni, sapranno meno le altre materie. La matematica non è un’opinione, pertanto le ore trascorse sui banchi sono sempre quelle, ma aggiungendo una materia di qua ne togliamo un’altra di là. Un’ultima cosa voglio dire, pensando di esprimere l’opinione di altri insegnanti non friulani (e per fortuna siamo in tanti): la lingua friulana dev’essere facoltativa e assolutamente non andare a “erodere” il monte ore della cattedra di italiano. Ancora, a nome mio e della mia vicina di casa ligure, forestes: ci sentiamo diverse da “voi” e a volte ci viene voglia di scappare. Non vi dispiacerebbe perdere la ricchezza della varietà, il calore umano degli insegnanti meridionali e la pelle color avorio dei miei amici ghanesi di Udine?
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DOMENICA, 09 MARZO 2008
Pagina 9 - Udine
FRIULANO /1
Non vogliamo finire come l’occitano
La lettera contro il friulano (pubblicata mercoledì) dell’occitana Luisa Rivoira, insegnante a Buja, merita qualche commento. Intanto non esiste la “Realschule” di Colonia perché in questa città le Realschulen sono 24. La signora Rivoira si rallegra di essere stata un anno a Berlino dove si parla il tedesco standard, a differenza che nel Sud della Germania e in Austria o Svizzera. Questa situazione è però il frutto dell’espansione del tedesco standard nelle regioni del Nord. Qui i dialetti settentrionali, più simili all’olandese che al tedesco, sono stati soppiantati quasi completamente dal tedesco standard.
Simile sorte, per restare in Germania, è toccata al frisone e al sorabo. Non mi sembra un motivo di compiacimento, ma Luisa Rivoira, che nella sua lettera parla spesso di apertura mentale, la pensa diversamente. Questa insegnante racconta inoltre, e pare vantarsene, di aver indotto, a sei anni d’età, i genitori a non parlarle in occitano, ma in italiano. Il padre si esprimeva comunque bene in italiano e non parlava quindi l’occitano per necessità ma probabilmente per scelta.
Si è mai chiesta cosa i suoi genitori possono aver provato in quel momento? Vergogna, umiliazione, derisione, rifiuto? Ha mai pensato al suo contributo alla scomparsa della lingua occitana, fortemente minacciata in Italia come in Francia? Dice che temeva di non imparare bene l’italiano: sottovaluta ancora così tanto le sue capacità linguistiche? E non ha mai sentito parlare delle migliaia di scolari che in Francia frequentano le scuole “Calandreta” in lingua occitana e che padroneggiano il francese come tutti gli altri ragazzi?
Dice che la chiusura dei friulani la fa sentire diversa e «a volte ci viene voglia di scappare». Perché non scappa, per fare un esempio tra i tanti possibili, nel paese basco e propone l’uso facoltativo e marginale, che pretende per il friulano, della lingua basca? A questo punto, date le reazioni che susciterebbe, scapperebbe di nuovo, e a gambe levate. «Non vi dispiacerebbe perdere la ricchezza della varietà, il calore umano degli insegnanti meridionali e la pelle color avorio dei miei amici ghanesi?» conclude l’insegnante.
Mi dispiacerebbe, ma di più mi dispiacerebbe vedere il friulano morire. Non mi dispiacerebbe, invece, perdere la povertà di chi, come la signora Rivoira, dopo aver lasciato morire la sua lingua, vorrebbe che altri facessero altrettanto.
PS.: Da quando in qua i ghanesi sono bianchi?
Davide Turello
Udine
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DOMENICA, 09 MARZO 2008
Pagina 9 - Udine
FRIULANO /2
Tutte le varietà meritano rispetto
Leggo sul Messaggero Veneto (mercoledì 5 marzo) la lunga, lunghissima, estenuante lettera, della professoressa Luisa Rivoira che, dall’alto della sua cattedra e della sua esperienza, spiega a noi indigeni come si vive e cosa dobbiamo imparare a scuola e ci rende partecipi della sua frustrazione «perché in Italia le lingue europee, quelle principali, si studiano poco e male».
Il suo metodo consiste nel partire da «solide basi di analisi grammaticale e logica». Così si capisce com’è che gli studenti italiani, dopo 5 anni di superiori, non riescano a mettere in croce quattro frasi in una lingua straniera. Cosa che la Rivoira ha notato con evidenza, ma che addebita tutto, probabilmente, alla contaminazione di elementi spuri.
Così, lei, a 6 anni ordina ai suoi genitori di non parlare in “patois”, «perché temevo – dice – di non imparare bene l’italiano». Evidentemente ci sono lingue sporche e lingue pulite.
Ma poche righe dopo ci fa sapere che «mio padre si esprimeva bene in italiano, in piemontese, nel patois di Angrogna e in quello di Prarostino». Cioè, la prova in carne e ossa che tutto quello che sostiene non sta in piedi!
Se all’epoca il padre le avesse mollato un paio di ceffoni, forse le avrebbe tolto un po’ di quella supponenza e di quella puzza sotto il naso che ora ci tocca subire.
Da sottolineare poi, accanto all’arbitrarietà del discorso che serve alla signora (signorina?) più a far mostra di sé che a sviluppare un argomento, la presunzione e l’arroganza: «... altri insegnanti non friulani (e per fortuna siamo in tanti)» (ma come si permette?); «... e a volte ci viene da scappare» (ma chi la trattiene?!) e la lezioncina «Non vi dispiacerebbe perdere la ricchezza delle varietà...?».
Non si accorge di farsi lo sgambetto da sola. Tutte le varietà meritano rispetto. Cominci col rispettare la nostra, cara professoressa!
Fabiano Rosso
Udine
O soi restade sconvolte da ignorance e da sfrontatece di chê insegnante che a cres i nestris fiis cu la vergogne di fevelâ une lenghe che fâs part da comunitât europeane! Cui che al sta daûr di une catedre al vares di insegnâ il rispiet e la tolerance prin che a fâ di cont! Vergogne!
viodude di un altre bande si po di che il save nol ocupe puest ma l'insegna al e mitut vonde mal.
Mi sa che se le scuele an'd'a za un gaf a tignis in ecuilibri cussi, forsite, al di la dai derits, al e il cas di pensà se al sedi il cas di buta su inmo un fasut di lens a un mus bielza cjamat e che ogni tant j molin les gjambes.
Se dopo al cole e saran ducj pronts a dai le cause chel ultim caric no?
Ancje savint che nol bastara gjavalu par torna a meti in pins la bestie.
La veretat e je che al e il mus vecjo!
Thermo: tu âs reson, il mus al è vecjo.
no a câs o sin tai ultins puescj in europe in diviers aspiets de didatiche e dai risultâts scolastics.
Cemût fâ? lassâ che il mus vecjo al finissi di murî o cirî di viodi ce che si pues fâ par une gnove scuele europeane?
Cjale il câs, ma il Clil (Content and Language Integrated Learning=. Aprendiment integrât di lenghe e contignût), sisteme didatic par insegnâ lis materiis e lenghe insiemit al è un dai plui eficaçs in Europe. Isal il câs di rassegnâsi disint "No si pues fâ di plui tes nestris scuelis?" o isal il câs di domandâsi "Lis nestris scuelis puedino fâ miôr?"
In Italie ognidun che al governe al propon une riforme cul risultât che ducj si lamentin dal sisteme scolastic. Cumò cu la riforme costituzionâl dal 2001 tantis competencis, ancje in materie di scuele, a son passadis a la Regjon: vino voie di restâ al pâr cul rest di Italie, o vino voie di sfrutâ cheste oportunitât e dâ ai arlêfs di cheste regjon un alc di plui che il rest dai talians no àn?
Jo o pensi che se si ves voie, si rivarès a fâ tant di plui. Invezit o ai come la impression che no sedi propit la voie... e invezit e je la voie di tirâ dutis lis colpis sul furlan.
ANSA) - ROMA, 10 MAR - Il 70,3% dei ragazzi che frequentano le scuole superiori hanno riportato una o piu' insufficienze al termine del primo quadrimestre. In media ogni ragazzo ha riportato insufficienze in quattro materie. E' quanto e' emerso da una indagine condotta dall'Ufficio studi del Ministero della Pubblica Istruzione sul 40% delle scuole. La disciplina dove si e' registrato il maggior numero di insufficienze e' la matematica con il 62,4% dei casi, con valori negativi in tutti i tipi di scuola.
Alore par risolvi il probleme, si à decidût di eliminâ il studi dal furlan in dute Italie... thermo, sêstu dacuardi?...
tu varas vut une zornade par pensa cheste biele batude ma tu ses fur tema, jo o stoi inmo tabajant de impusibilitàt di cjama el mus vecjo.
thermo, a mi mi pâr invezit che tu sês tu che tu menis un tic il mus pe glace... però o podarès vê dit une falope... ;-)
Seconde pontade de comedie de insegnante di Buie: frache chi
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