E chi us torni a meti il link a la interviste che i à fat Fazio: fracait chi par viodilu e scoltâlu.
06 ottobre 2008
O ai cognossût Boris Pahor
Di lui us ai za fevelât e vuê che o ai viodût che al jere a Sant Pieri dai Sclavons, o soi lât a sintî Boris Pahor pe presentazion di Necropoli, che mi soi fat autografâ. I ai regalât une copie de Patrie e mi à ancje dit che i displâs di no fevelâ par furlan. Al è stât tant content di ricevi une copie dal gjornâl e di vê vût chest contat cu la minorance furlane. E je stade une serade pardabon emozionant e cumò che lu ai cognossût, mi sint plui siôr dentri!
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21 commenti:
E chest articul al jere sul Piccolo di lunis 06/10/2008
LUNEDÌ, 06 OTTOBRE 2008
Pagina 1 - Prima Pagina
L’autore di «Necropoli»: c’è ancora chi nega la cultura degli sloveni
di BORIS PAHOR
In verità stavo per scrivere antislovenismo cronico, perché qui da noi data ormai dalla fine dell'Ottocento, ma in questi giorni certuni tentano di far svalutare tanto le dimostrazioni dei linguisti quanto le conferme legislative per escludere la lingua degli sloveni della provincia di Udine dalla matrice slovena. E questo tentativo di negazione data dal 1866, quando la così detta Schiavonia, insieme a Venezia, fa parte del Regno d'Italia.
Vissuti per secoli come cittadini veneziani in una forma di autonomia tutta speciale, gli sloveni divenuti col plebiscito per propria decisione cittadini del Regno, vennero sottoposti ad una snazionalizzazione sistematica.
Che sarà potenziata dal fascismo ed in modo particolarmente intenso anche durante il periodo postbellico con l'aggiunta dell'organizzazione Gladio fino al giorno in cui con la legge di tutela per la comunità slovena della Regione viene riconosciuta in modo indiretto un'ingiustizia più che secolare, con il riconoscimento della fino allora privata scuola bilingue a San Pietro del Natisone.
Il tentativo ora di voler far marcia indietro è, se lasciamo da parte le constatazioni degli slavisti, compresi quelli italiani, almeno per due ragioni inaccettabile. La prima è, a parer mio, che dimostra di essere di scarsa onorabilità chi tenta di negare come slovena la lingua parlata dagli abitanti della provincia di Udine invece di decisamente biasimare chi per 134 anni ha fatto di tutto per estinguere il gergo barbaro (Fanfulla 1884) di quella gente. Biasimo che, ammetto, forse invano si spera di sentire o leggere. (Invece nel gennaio 1977 Monsignor Alfredo Battisti come arcivescovo di Udine chiese pubblicamente perdono alla popolazione slovena e friulana per il modo in cui la Chiesa si è comportata durante il periodo fascista.)
Ma c'è una ragione più consona a certi difensori dell'italianità: la testimonianza di certe persone di indubbia fedeltà nazionale che non hanno trovato necessario di negare ciò che ora si tenta di fare.
La precedenza assoluto l'ha senza dubbio Benito Mussolini.
Nel suo libro «Il mio diario di guerra», il giorno 15 settembre del 1915 egli scrive: «Tappa a San Pietro del Natisone. Primo dei sette comuni in cui si parla il dialetto sloveno. Incomprensibile per me». E poi si dilunga nel tentativo di prendere contatto con la gente e annotando i luoghi dove passa nella loro forma originaria slovena. Vicino Caporetto perfino trascrive da una cappella votiva un distico sloveno: «Nikdar noben se ni bil zapuscen/ kiv v varstvo Marijis bil izzrogen». Cche significa: «Ancora nessuno mai fu abbandonato / Che alla protezione di Maria fu raccomandato».
Come si vede, iscrizione religiosa copiata con qualche errore da Mussolini che non può essere accusato di aver preso un granchio definendo il dialetto in questione dialetto sloveno. A pagina 109-110 del diario egli conclude: «No, questi sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensano che noi siamo di 'passaggio'; che non resteremo e non vogliono compromettersi, nel caso in cui ritornassero, domani, i padroni di ieri». (tratto da «Il mio diario di guerra», pubblicato dalla Libreria del Littorio).
Sapeva quindi molto bene, Mussolini, quando ebbe il potere, che lingua voleva far sparire, ciò tanto più perché era subentrato il progetto più ampio di non cambiare solo la lingua ma gli stessi connotati a tutta la gente slovena della Venezia Giulia.
Ma c'è un personaggio che potrei quasi dire più patriota, perché in modo prioritario, dello stesso Mussolini, un garibaldino che combatté a Milano e poi con Garibaldi. È l'avvocato Carlo Podrecca, autore del libro «Slavia Italiana», uscito a Cividale nel 1884.
Nato a Cividale nel 1839 in una famiglia di notabili, sua madre è una contessa della Torre, Carlo Podrecca è un personaggio singolare. A Milazzo riceve da Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, la spada di tenente, conosce Ippolito Nievo, è amico di Giuseppe Cesare Abba, è però ad un tempo innamorato della sua identità della quale dice: «Non v'ha soluzione di continuità geografica od etnologica fra la Slavia Italiana e le altre propaggini slave». Ci tiene quindi a questa specificità ed alla sua lingua che «non è pericolosa nella regione alla italianità di quest'ultima». Non solo, vorrebbe che fosse insegnata nella perfetta forma grammaticale. È quindi normale che è contrario ai tentativi di estirpazione della lingua del luogo, ed è per la coesistenza delle due lingue.
Un uomo di larghe vedute e che prevede la formazione tra l'Adriatico e il Mar Nero di un regno slavo e quindi la funzione di un anello che «congiunga la cultura italica a quella slava e rannodi la civiltà delle genti neo-latine a quelle dei popoli danubiani». (Qui Podrecca cita l'allora senatore Antoni, autore di «Friuli orientale»).
Come si vede, uomini europei in anteprima con la mentalità dei quali ora contrastano certe tendenze che si credevano sormontate ma che purtroppo denotano attitudini deleterie quali cellule di una metastasi.
Io voglio sperare che la bella collaborazione amichevole tra le due culture, che felicemente si è creata negli ultimi anni, valga a squalificare tali progetti anacronistici e quindi in partenza nocivi. E, in ultima analisi, antieuropei.
ben Christian,
braf par iessi stat a sinti Pahor e ve linkat il video de interviste che j à fat Fazio.
Però tu ti vuardis ben di conta alc di ce ch'al à dit il prof. Pahor che altre sere a San Pieri, par esempli ce aial dit dai toi amis sorestants che guviarnin le nestre regjon e a Rome? conte conte...
Ps, fur argomente p.c. al Furlanist: ogni gjornal al è libar di fa scrivi e di nomena vice diretor cui ch'al ul, ma par il me modest cont e ancje volint la daur a un minimo di etiche gjornalistiche, al bon sens al domandares che cui ch'al è al diret servizi di une part politiche (ancjemò alte in chist cas) al fasares ben a fa ben chel lavor parceche chel lavor voe o no voe no ti lasse le libertat di rispieta l'etiche che domande le posizion di responsabilitat di un gjornal, par tant piçul ca'al sedi come Le Patrie; a mi no mi plas chist miscliçot; Le Patrie o Tondo muerino cence di te?
mandi Checo
Insomit:
le frasute che ti plas tant riclama
el tramai dal stat talian
ti pon denant di un dileme di ideis e di coerence.
El tramai dal Stat talian
o si lu servis
o si lu scombat.
p.s.
O Zico o Austrie?
Inmo cualchidun al e di resint colat te retoriche redicule di San Francesc
Viot di fermale cul bati cun Sant Antoni
Pense piutost a ce che stin par spindi par San Zuan
Cun buine pas dal lof trist di San Tomas
Checo
su la cuistion di jessi faziôs (no tal sens di "che tempo che fa"...) ti doi reson: o soi un di part. No lu ai mai platât, no mi soi mai platât. Come che te mê part no ai mai platât di resonâ su lis cuistions in maniere vierte e cence pôre di fâ presintis lis mês opinions, ancje se a levin cuintri di une linie. No lu ai mai fat tant part fâ dispiet o spirt di contradizion, ma simpri cuntun resonament daûr. No pretint di convinciti, ma che tu vegnis a fâmi la morâl, in cheste maniere, mi sposte avonde pôc, ma tu sês libar di pensâle come che tu vuelis. Cierts discors ju vevi jo prime di te fats cun puar pre Toni cuant che lu ai cognossût e mi à dât la pussibilitât e l'onôr di colaborâ cu la Patrie. Za in chê volte cualchidun al veve fat cheste osservazion cence cognossimi ni vêmi mai fevelât. Ce che mi à dit pre Toni lu conservi e no finarai mai di ringraziâlu, come dut il grup di Glesie furlane e La Patrie dal Friûl.
Su la gjestion editoriâl o lassi fevelâ il Dree stant che no soi jo il diretôr che al rispuint de linie: e tal siguri che pal rapuart che o ai cun lui e dute la redazion, lis tôs peraulis a son denigratoriis e ofinsivis no tant tai miei confronts (o soi usât a jessi sot tîr) ma pluitost tai confronts di ducj i components de redazion de riviste. Judiche il lavôr de int: se il gjornâl al è fat ben o mâl... no cui che lu fâs. Se tu vuelis savê ce che al à dit Pahor, une part e je tal articul dal Piccolo, un servizi al sarà sul Friuli di vinars e un altri al sarà su la Patrie di Novembar.
thermo
mi spietavi cualchi critiche plui fine, invezit tu tiris daûr di cierte polemiche sterpe. Aromai tu varessis di cognossimi un ticut e se tu pensis che o sedi in contradizion, alore in dut chest timp, mi sa che tu âs butadis vie diviersis setemanis... tu mi deludis.
Ma in spiete che il bon checo si compri i gjornâi che o ai nomenât (simpri che al vedi voie...) ve chi inmò cualchi info su la serade cun Pahor.
MERCOLEDÌ, 08 OTTOBRE 2008
Pagina 17 - Cultura e spettacoli
«Il calvario degli sloveni»
Boris Pahor: sotto il fascismo fu per noi una guerra
SAN PIETRO
Lo scrittore racconta le violenze nei lager e le umiliazioni
SAN PIETRO AL NATISONE. Vedersi scippare e storpiare il cognome, deformato in un adattamento italiano; assistere a una violenza culturale che, dell’identità e delle tradizioni dell’altro, voleva fare terra bruciata; e poi sentirsi strappare la propria dignità umana, trovarsi ridotto a numero nella massa, o nemmeno più a quello, «perché, per loro, per i tedeschi, eravamo carne marcia».
Boris Pahor, 95 enne scrittore sloveno di Trieste, molto più noto fino a poco tempo fa all’estero che in Italia - dove si è rivelato al grande pubblico con il libro Necropoli - è memoria di tutto questo. Memoria di ciò che ha significato vivere da sloveno sotto il fascismo, e di quell’inferno che sono stati i campi di sterminio. E proprio «per conservare il ricordo di quanto non deve essere assolutamente dimenticato» il professore è stato invitato nella Benecija - per la prima volta - dal Circolo di cultura Ivan Trinko e dall’Istituto per la cultura slovena di San Pietro al Natisone. «Con la pubblicazione di Necropoli - ha esordito il presidente del Circolo Trinko, Michele Obit - si è aperta per Pahor e per tutta la comunità slovena in Italia una nuova strada. Attraverso questo libro il lettore può conoscere, in un periodo in cui frequenti sono i tentativi di revisionismo, alcune delle pagine più buie della storia italiana ed europea del secolo scorso». Vivere negli anni del fascismo, per un cittadino di lingua slovena, era già una guerra, ha rievocato il professore. «I rimasugli etnici dovevano sparire, essere liquidati; lingua e dialetto slavi andavano cancellati e sostituiti con l’italiano». E per gli sloveni non c’era alternativa: accettare il progressivo schiacciamento della propria cultura o prepararsi a subire la punizione. Sembrava di aver toccato il fondo, e invece no: il vero calvario è iniziato, per tantissimi sloveni, compreso Pahor, con le deportazioni nei lager. Da Trieste a Dachau, e da lì a Natzweiler-Struthof, campo in cui finirono anche polacchi, russi, olandesi, norvegesi. «Eravamo partiti da Trieste in 600, nel febbraio del ’44. Ci portarono in un campo ad alta quota, realizzato a terrazze: e ogni mese, od ogni due, arrivavano altri sloveni, per lo più da Lubiana. La prima cosa che si vedeva, entrando, era la forca: chi provava a mettere in atto dei sabotaggi veniva giustiziato pubblicamente. Nel terrazzamento più basso c’erano le prigioni e il forno crematorio. Fumava continuamente. Arrivai al campo con la neve. Eppure peggiore era la pioggia, perché dopo non c’era modo di asciugarsi e bisognava rimanere così, con gli indumenti bagnati appiccicati al corpo». Freddo, fame. Prigionieri che nascondevano il cadavere di chi era morto di stenti o di dissenteria per guadagnarsi, finché era possibile, la sua razione di pane. «E c’erano poi gli NN - ha raccontato ancora il professore -, persone a cui sulla casacca, sulla schiena, erano state tracciate in rosso quelle due lettere: le iniziali, in tedesco, delle parole notte e nebbia. Erano gli uomini condannati a morte sicura, da subito, fin dal loro ingresso al campo. Quella doppia N indicava a chi si occupava della loro sorveglianza che poteva farne ciò che voleva». Un incidente che obbligasse a stare qualche giorno in infermeria rappresentava un colpo di fortuna, un piccolo incentivo alla speranza. Ma per Pahor la porta verso la salvezza si aprì a Dachau, dove era stato trasferito all'avanzata degli alleati: «Alcuni sloveni mi riconobbero: avevo già pubblicato qualcosa a Lubiana. Per aiutarmi mi fecero infermiere».
Lucia Aviani
Mi cjali ben di fant une cuistion etiche-gjornalistiche cussi grivie come checo a cui no tu devis sedi cetant simpatic.
Cualchi articul de patrie lu ai let, ancje to e o vares un grump di robis di pode di ma sinceramentri no vioit chest conflit di interes o une stierciade editorial filoguviernative.
MA, DUTCAS le contradizion di font dal tramai e reste.
e Conche tu me butis sul patetic fasintmi el deludut, mi consoli pensant che no tu rivis a disberdeati cun plui clarece.
Poben, o continuarai a pierdi timp cussi...dantmi reson bessol.
Christian
jo o crot pardabon che tu sedis un bon frutat, ti ricognos trop che tu ti das da fa pal nestri Friul e no dome e o crot che tu ti vivedis in buine fede ce che tu fasis, ce che tu scrivis e tu disis. O crot che tu sedis une brave persone. Ma lis tos cualitats no gjavin nie al resonament e ae cuestion ch'o ài ponut tal post. Te vite certis robis e àn bisugne di un cjarmin di un confin. Jo no crot di ve ofindut le redazion de Patrie e ne nissun atri, da letor de Patrie o ài ponut un probleme che secont me al è serio par une conduzion serie di un gjornal impuaratant come le Patrie. O soi ancjemò plui franc: o crot che se tu stessis fur de redazion fint cuant che tu varas certs incarics tu fasaressis un at di amor ae Patrie. Chist al è il me umil e personal pinsir. Si sa che dentri de Patrie redators e colaborators e àn partigninçis politichis di ogni sorte, al è uman. Ansit guai se no. Ma tu tu as une posizion particolar, tu ses come un predi, o il comandant de stazion dai carabinirs, fint cuant che tu ses là no ti confasin presincis di atris bandis. J tegnitu a di alc su le Patrie? Mande une letare, chel spatsi al è viart a ducj, no?
Pensigj parsore e no sta cjapate a mal.
Pe serade di Pahor a Sant Pieri:
ti rassicuri che cualchi gjornal lu lei e al fat che j gjornai ch'o ai let fin cumò e vedin omitut un cert passaç dal prof. Pahor le dis lungje su trop poc libars che son i nestris gjornai di chenti.
O speri amancul te libertat de Patrie di cui o ringrazi pal lavor impuartant che fas.
mandi Checo
O rispuint secont il gno modest parè parce che ancje jo o soi une colaboradore de Patrie; prin di dut cun lis personis internis al gjornâl che o ai vût a che fâ no ai mai dovût imbatimi in cuistions politichis: nissun mi à mai domandât di ce bande che o stâvi, nissun al sa di ce bande che o stoi e nissun mi a mai ponût discussions di chest gjenar. Scrivi par un gjornâl come la Patrie par me al à significât dedicâmi in prime persone a la cause "Friûl", come che o crot a fasedin la grant part di chei che a scrivin e che lu dirigjn. Duncje se ognidun al à lis sos preferencis o i soi indiriçs politics nol vul dì che no fasedin ben il lor lavor, e mi par che fint cumò lu vedin fat avonde ben.
Se o cjatarês difiets in chest sens alore o sarin i prins a chi a discuti, ma fâ proces a lis intenzions nol à sens.
Gentil Ninine
no ài contestat a di nissun ni le cualitat dal lavor ni li apartignince politiche dal singul, mi par scontat che ognidun al vedi il so pinsir, che par altri al va rispietat, e posto che le Patrie no je ni il Manifest (che àn di iessi ducj ros) ni il Secolo d'Italia (che àn di iessi ducj neris) e àn ducj dirit di fa part o crot e soredut al dipint desieltis dal editor, dal diretor o a cui che i tocje. Il problem al è un atri: personalmentri o crot che le posizion professional di Christian no si confasi ancje a une so impen in tune testade libare.
Sbalio o tal moment che Christian al à tacat l'incaric in regjon si è sospindut le colaborazion cul setimanal Il Friul? e forsit pal stes motif ancje cun le pagjne furlane dal Messagjero?
Se no si rive a viodi ben une robe si à di dopra une lint: ce disaressitu Ninine se le coleghe di Christian, le siore Michela Gasparini, e doventas vice diretore o redatrice o colaboradore fisse dal Messagjero, o dal Gazetin, o dal Friul, o de Vite Catoliche? Se no tu as une idee prove sint il pare di un diretor di chiscj gjornai; se e àn cur e stan cidins e van indevant pe lor strade.
Dopo, pa l'amor di dio, in italie j po stai di dut, un poc mancul tai stats plui serios.
Mandi Checo
Checo,
jo che o lei sedi il MV che il Friuli no mi par che la colaborazion sedi rote, Christian al scrif ancjemò par ducj doi i gjornai. Che dopo al vedi mancul timp di dedicai al è un altri discors.
Ninine
se e je cussì o ài fate une falope, tes pagjini de filologjche dal messagjero al è di un poc che no viot la firme di Christian, o no le metin simpri o jo o ài piardut al voli.
Il Friul, posto che mi fas cola i bras cun ches cuviartinis da Novella 2000, mi ven pes man da rar, ogni tre o cuatri numars e in chiscj ultins mes, di ce che mi visi, o ài cjatade simpri le Angeli.
Grazie de precisazion.
Motif in plui par conseagj a Christian di sta sul so delicat mistir e di lassa spazi a cuali atri zovin o cualchi disocupat.
Pal rest tu mi lassis a sut sule cuestion di fonde cho ài poiat doprant ancje un paragon.
Mandi Checo
Eh beh al e clar, te patrie si tabae di cusine, di frico, di gasolio, de mame, di pre checo e di pre toni e cun articui vonde neutris o che fasin finte di cjapa une posizion.
Nol e un gjornal pulitic ma di pulitiche si cjale di tabajant, casomai analisis numeriches, cualchi sgrifade a Maran, un rivoc conche al Pdl e disin che no le an cul furlan, un sperin ben coinche e an psizion plui concilnaits.
In some ni che si nase ni che si puce.
Un editorial di Valcic che no ai condividut e mi a za semeat di lei Pansa sul espres.
E tu no tu jentris diretamentri ma e je vere no tu ses incoerent, no, parceche al e cetant ovio che no si stice cusiencis o si ten in pins une "cause furlane" tabajant di frico.
Po stai ancje che mancjin lis vos libares.
A proposite a je le seconde volte che tu ametis di sei di part, une mdoificute al template no eh...
thermo... dome la seconde volte?
ti visi che chest blog al è nassût un mês prime des elezions dal 2006 in plene campagne eletorâl che mi à puartât a jessi il secont votât dal gno partît... mi somee di no vê mai platât di ce bande che o stoi. o no?
Checo
a ti no ti va che jo o continui a lavorâ pe patrie... o varès di tirâmi in bande.
Domande legjitime di bande tô che tu sês libar di continuâ a dî ce che tu crodis, ancje se tai fats tu dimostri di no cognossi ben dut ce che tu disis (tu capelis i nons, tu fevelis cence lei ducj i gjornâi)... ma nol impuarte: tu tiris fûr principis e etiche, ma cence vê il scrupul di documentâti e cence nissun probleme tu metis in discussion la professionalitât di dute une redazion, tacant a menâje al diretôr.
jo o rispuint a la Patrie e ai letôrs che a son i prins judiçs: tu tu mi disis di lâ vie, ancje se tal periodi che o soi stât e che o continui a lavorâ nus risulte che i abonaments a son cressûts e no di pôc, i colaboradôrs a son simpri di plui, la atenzion su la riviste nus somee che e cres.
Continue cence nissun fastidi su la tô strade, che jo o voi indevant pe mê condividint un progjet cun int valide e serie sedi te redazion de Patrie, sedi ta chê dal Friuli, sedi tal grup de Filologjiche che al cure la pagjine Marilenghe sul Messaggero Veneto.
thermo,
no tu jeris cussì superficiâl... sêstu masse impegnât a fâ la valîs par lâ in Toscane? viôt se ti vanze un puestut par meti cualchi numar de Patrie e tornite e a lei cun calmute... il nestri nol è un gjornâl di partît, ma ancje dî che nol nase ni che al puce mi somee ofensîf come judizi e al va un tic plui in lâ dal dirit di critiche.
e cumò si podial fevelâ un tic di Boris Pahor?
Christian
Al fat ch’o vedi sbaliat un final di cognon nol smonte di un fil il me rasonament, e no crot che par fevela di un mut di viodi personal o vedi di passami par fuarce ogni di duc i gjornai di chiste regjon, se dopo tal to blog e puedin ve facoltat di fevela dome cui chal à determinats recuisits baste che tu lu disis e imponis.
No sta acusami di robis no veris, jo no ài contestat il lavor de redazion de Patrie, il me pinsir al è dome chist: Christian tu ses vonde dispatussat par vole comprindi tantis robis, pal me cont e pe me cognossince de etiche giornalistiche, il to lavor al è incompatibil cun carichis e impegons in gjornai apartitichs (se tu as voe e ti fasin scrivi su Libero no cjatares nie di fur luc).
Il numar dai letors de Patrie al lara su e ju no di sigur parceche Romanin al scrif o nol scrif parsore, par dut il bon contribut chal po da. Al è clar che esist une necessitat di cualitat par chal sedi plui facil di vendi ma il probleme dai numars pe Patrie mi par chal è soredut chel di fale cognossi (e su chist mi par che si ses movus vonde ben) e de distribuzion, oltri che di beçs a disposizion e di colaborators disposcj e brafs di lavora, ma disigur o savares vuatris i vers problemas .
Chi parsore al è dome il me umil pinsir e al è scontat che tu ses libar di fa dut ce che tu vuelis e consentissin, ancje parceche fagj un dispiet al segretari di Tondo nol è masse di furbos. Indi plui il to fa finte di no capi certis scontadis oportunitas mi dan reson.
Dati da fa invesit a tira dongje cualchidun di gnuf e zovin chal podedi colabora cun ches testadis che tu cognossis, lasse spazi a di chei atris. Se tu as gust di fa il lavor che ti an dat va indevant ma dopre ancje l’ umiltat di tirati fur pal moment di ches atris robis e cuant che tu varas finit chel impegn cussì particolar tu varas di sigur lis puartis viartis e tant plui sincir preseament. Pensigj parsore cun calme, no par fa un plase a mi ma par da un segno di ulterior serietat che e je tant carinte in certs ambients e in chiste nestre amade tiare.
Par torna a Pahor, justamentri, ti ricuardi che no tu mi às rispiundut a ce che ti ài vut evidenziat.
mandim Checo
Checo
tant par jessi clâr.
La tô e je une critiche legjitime: tu fasis ben a dî ce che tu pensis. ma no tu puedis pretindi che o sedi dacuardi.
se tu pensi che mi ritegni indispensabil, no tu âs capît propit nuie. i miei riferiments a la cressite no jere une autoincensazion, ma une costatazion che i prejudizis che tu âs tu, no son confermâts da preseaments dai letôrs. Jo o lassi il judizi al public che se nol condivît la linie di un gjornâl, no lu compre. il to atac al reste secont me, avonde prevignût tai miei confronts, parcè che secont me tu escludis che jo ciertis domandis mes sedi za fatis, ma propit parcè che mi soi metût subit a disposizion de redazion.
E se tu permetis 31 agns no mi riten vecjo e o pretint di jessi judicât par chel che o fâs tal gno lavôr, no pai ambients che o frecuenti: se tu viodis falopis tai miei scrits (su Patrie, su Il Friuli, sul MV) segnalilu e o rispuindarai in prime persone.
Se no la TÔ etiche se tu permetis no le riten come gjornalistiche, ma di chest, o lassi fevelâ cui che il gjornalist lu fâs di profession.
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