Se a cualchidun i fos scjampade, ai 21 di Avost e je vignude fûr une biele intervistute al Dree (te foto) sul Gazzettino. Te pagjine si fevelave di furlan e imigrâts, che a imparin la nestre lenghe cence tancj prejudizis.
Dongje, il Dree al dîs la sô a coment dal articul principâl. Oltri che pai contignûts, la interviste e je biele parcè che mi somee che e sedi la prime volte che al vegni publicât suntun cuotidian un articul par furlan e talian, cence tancj fastidis o fufignis.
Chi l'articul di vierzidure e chi la interviste dal Dree.
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Sul Gazzettino dai 21 di Avost
Quando l'integrazione passa attraverso la MARILENGHE
Un successo i corsi di friulano organizzati dai mediatori di comunità per gli immigrati
Quando gli immigrati parlano il friulano .
La storia di Daniel Samba, l'immigrato camerunense che impara la marilenghe girando per le case dei friulani a vendere calzetti e fazzoletti e poi, sempre con quell'idioma appreso daifurlans, conduce una trasmissione radiofonica a Radio Onde Furlane, non è un caso unico. Per alcuni immigrati , conoscere la lingua, la terra, la storia e la cultura del popolo che li ospita è quasi una necessità per integrarsi e per poter essere spendibili sul mondo del lavoro.
«Sono in qualche modo legato al friulano , perché trovandomi in Friuli, è ovvio che ogni passo che compio sento le persone parlare questa lingua e ora perlomeno sono in grado di rispondere "Mandi, cemt stastu? Avonde! Cemt ti clamistu? A riviodisi": queste cose fanno capire alla persona con cui sto parlando che ho voglia proprio di integrarmi». Sono le parole di Daniel Ekouta, presidente di "Mediatori di Comunità", un'associazione di immigrati nata intorno al 2000 che raduna circa una cinquantina di persone tra soci fondatori e collaboratori, ed attiva nel campo della mediazione culturale presso le aziende sanitarie. Proprio per venire incontro anche all'utente friulano e non solo all'immigrato, nel corso degli ultimi anni "Mediatori di Comunità" ha già organizzato due corsi di lingua e cultura del Friuli, indirizzati prevalentemente alle persone immigrate ma aperte anche ai friulani stessi interessati ad approfondire tali tematiche. Racconta Ekouta «Ci siamo detti: visto che siamo in Friuli e il friulano è una lingua minoritaria con la quale ci confrontiamo ogni giorno e spesso ci troviamo ad aver a che fare con anziani che si perdono nei corridoi dell'Azienda sanitaria 4, sarebbe auspicabile offrire un servizio anche a queste persone, non solo agli immigrati ma anche agli italiani che hanno bisogno di orientarsi. Allora abbiamo fatto una richiesta di finanziamento presso la Provincia di Udine e abbiamo organizzato il primo corso di lingua e cultura friulana per conoscere meglio le dinamiche del luogo in cui ci troviamo. Al primo corso hanno partecipato una ventina di persone: abbiamo imparato la lingua a livello base, dunque le nozioni basilari "Come ti chiami? Dove sei? Cosa fai?", perché dovevamo imparare e poi riformulare le frasi per bene in modo che gli altri potessero capire quando parliamo».
Per questi immigrati , il friulano è uno strumento di integrazione, quasi un modo per far vedere che anche loro qua, in questo Friuli, vogliono sentirsi a casa loro e allo stesso tempo dare il loro contributo: «Chi vive in una certa realtà - dice ancora Ekouta - deve avere quantomeno le basi per poter parlare con le persone con le quali ha dei contatti ogni giorno: è uno degli strumenti di integrazione, è la base perché se si instaura un colloquio tra un mediatore e un medico, riesci perlomeno a rispondere. Dei friulani si parla sempre di un popolo piuttosto diffidente, e allora per entrare in confidenza bisogna per lo meno esprimere una certa apertura, dimostrare che si può instaurare un discorso con le persone. È un atteggiamento di interscambio, di conoscenza reciproca: se parli con qualcuno a cui vuoi dare un certo peso, allora gli parli nella sua lingua».
Da strumento di comunicazione sul lavoro, a mezzo per interpretare la cultura dei propri figli, nati in Friuli e dunque, pur di sangue immigrato, ormai divenuti pure loro friulani. Al secondo corso di lingua e cultura friulana, organizzato in collaborazione con il Comune di Tavagnacco hanno infatti partecipato un buon numero di donne: «Ho visto quante parole conoscono i miei figli - dice Irma Gutzman, una di loro - non so neppure dove le abbiano imparate, eppure ciò mi ha fatto riflettere: il friulano appartiene alla cultura dei miei figli ed io mi sento in minoranza perché non sono in grado di capire bene la lingua e non riesco a sostenerla neppure a casa mia. Il gruppo che ha partecipato al corso svolto a Tavagnacco era composto in gran parte da mamme tutte interessate a imparare il friulano per riuscire a trasmettere anche questo ai figli, per riuscire a comprendere una lingua che loro stanno apprendendo e che sta diventando parte del loro patrimonio culturale».
Irma osserva molte e molti suoi coetanei arrivati in Friuli oltre una decina di anni fa che, con il passare del tempo si avvicinano alla marilenghe. Nel suo caso, si sente spesso impossibilitata dal fatto di non avere molte occasioni di parlare il friulano perché moglie di un meridionale: «Ormai siamo di questa terra ma non abbiamo modo di conoscere la storia. Ricordo che durante il corso sono venuti a insegnarci qualcosa sulla cucina friulana: io non so cucinare la polenta, però il mais è universale, ci lega fra popoli. Anche attraverso queste cose possiamo confrontarci e ognuno mettere in condivisione il proprio sapere. Ormai questa è la mia casa: anche se altri non me lo riconoscono, io sono friulana come sono messicana, e così come sono italiana».
Piero Cargnelutti
simpri sul Gazzettino dai 21 di Avost
IL COMMENTO
«E pensare che gli altri italiani ci ignorano»
Secondo Andrea Venier, direttore della Patrie dal Friûl, gli stranieri non subiscono condizionamenti
Andrea Venier, quarantuno anni, carnico residente a Milano, mantiene ben salde le radici con il Friuli.
Oltre a gestire un blog interamente in marilenghe, (http://ilfurlanist.splinder.com) da oltre un anno dirige il mensile "La patrie dal Fril", avendo raccolto l'eredità del suo predecessore, prè Toni Beline.
E per commentare il fenomeno degli stranieri residenti in regione che si avvicinano alla lingua friulana, preferisce commentare il fenomeno nella propria madre lingua: «Par dî la veretât no mi maravee tant chest dât. Mi maravee di plui la int che ven di altris bandis de Italie che e je in Fril di agnorums e no lu sa. Chest a l'è il risultât di une politiche e di un ategjament nazionalist e centralist dal Stât talian, magari cussì no. Chei che no an subît chest condizionament a son naturalmentri vierts a lis lenghis locâls e no an problemis».
- A suo avviso, da dove deriva questo atteggiamento degli italiani?
«E je stade l'impostazion sielte pe nassite dal Stât talian, impastanât cjalant a chel francês invezit che ai modei federâi come, par esempli, chel de Gjermanie. Il dibatit dilunc il Risorziment al à viodt di fat contraponts i federaliscj, tant che Carlo Cattaneo, a chei che a inmaneavin une unitât regolade dal guvier de Capitâl. Prin Turin, po Florence e par finî Rome. Disin che la France e la Italie a son i doi Paîs europeans plui centraliscj, e no dome in cont de lenghe».
- Tra le motivazioni date dagli stranieri che imparano il friulano, c'è quella della volontà di farsi capire dalle persone con cui si entra a contatto sul posto di lavoro o nella comunità locale. Il tutto mentre c'è una resistenza da parte degli enti e strutture pubbliche a convertirsi al bilinguismo. Come mai?
«La ande des autoritâts e mostre la distance cul popul. L'imigrât, invezit, al vl jentrâ in contat cul teritori. Lu vîf, impen che comandâlu, come che invezit a fasin i sorestants. La soluzion e semplicementri chê di meti in pratiche ce che e proviôt la leç taliane. Doprâ il furlan a scuele, tai mieçs di comunicazion, sul puest di vore e tai uficis publics».
Mandi Christian,
scuse s'o dopri chiste post dediat justamentri al Dree par segnalati chiste gnove gjavade fur di Quattroruote, mi par une robute impuartante che fas rifleti sul rapuart tra le maritiere e lis ilusions e distorsions dat masse di spes dal svilup speculatif e arogant che al continue a scjafoa il mont.
mandi Checo
I CONTADINI CONTRO LA NANO
Pubblicata il 01/09/2008
Annunciata come l'auto del popolo, quella che avrebbe motorizzato l'India, la Tata Nano potrebbe presto diventare il simbolo dell'incompatibilità fra l'industrializzazione e le esigenze del popolo contadino. La Tata Motors si sta infatti scontrando da diversi mesi (e non sono mancati morti e feriti) con gli abitanti di Singur, località nel West Bengala dove si sta costruendo il sito produttivo della low cost.
Le proteste dei giorni scorsi hanno spinto la Casa a interrompere i lavori, dopo che 3600 dipendenti erano stati bloccati per diverse ore da un presidio di migliaia di persone. I manifestanti chiedono che la Tata rinunci ai 162 ettari di terreno fertile - ora recintati da un muro alto due metri - destinati agli impianti dei fornitori. Solo alcuni dei piccoli proprietari hanno accettato gli indennizzi governativi, nella speranza di un posto in fabbrica o, più semplicemente, impauriti dalla polizia. Agli altri la terra è stata letteralmente sottratta.
A complicare le cose, anche implicazioni politiche: il partito comunista al potere è schierato a fianco del colosso industriale; le proteste dei contadini, invece, sono guidate da Mamata Banerjee (foto in centro), leader locale dell'opposizione. Il governatore del West Bengala, Buddhadeb Bhattacharjee, che vorrebbe industrializzare la regione attraverso investimenti privati, ha provato a riaprire le trattative, ma la linea della Banerjee è rigida: nessun dialogo se prima i contadini non riavranno le loro terre. Lo scorso 22 agosto, il presidente di Tata Motors, Ratan Tata (terza foto), è arrivato a minacciare di spostare l'impianto - e di conseguenza anche gli ingenti investimenti - in un altro Stato.
Al momento la costruzione dello stabilimento non è ancora ripresa e non si vedono accordi all'orizzonte. Quel che è certo è che Ratan Tata farà fatica a mantenere la promessa di commercializzare la piccola quattro ruote a partire da ottobre. Anche il prezzo, dato l'aumento del costo delle materie prime, difficilmente si potrà attestare sulle 100.000 rupie (1600 euro, circa) annunciate inizialmente.
Checo al a rilevat une robe importante. El president de Tata, Ratan, c'al passe come un filantropo c'al a voe di da' une machine a duç i indians nol a fat ben i cons. I indians e son un miliart, fin cumò è an inquinat un poc el Gange ma pui che atri cun scarics organics. Con che varan duç le machine no rivaran nançje a movisi. Un poc come c'al sucet a Bejing!
Par furtune buine part dai indians e a ançimo atris valors e si frein dal consumismo ocidental...
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