Us segnali doi intervents: un sul blog di Aldo Rossi (di pôc laureât cun tesi "Marketing in Marilenghe", compliments!!!) e un dal prof. Francesco Pira, docent a Relazions publichis a Gurize.
Une frase mi à plasût in particolâr tal articul dal prof. Pira: "E credo che molte persone, le stesse che criticano i social network , e una larga parte della classe politica del nostro paese non siano mai entrati effettivamente in un social network. Non sanno neanche come sia fatto".
O soi dacuardi al 100%: di fat, masse int spes su chescj argoments e fevele di bant, cence savê di ce che e fevele!
Internet al à di restâ libar!
Fracait chi par lei il post di Aldo e fracait chi par lei la interviste al prof. Pira.
DOMENICA, 20 DICEMBRE 2009
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IL GIRO DI VITE PER FACEBOOK
VIOLENZA VIA INTERNET SERVE IL BUON SENSO
di FRANCESCO PIRA
«Nei paesi privi di cultura o timorosi di non averne c’è un ministro della Cultura. E comunque cosa è la cultura? In certi posti è il modo in cui si suonano i tamburi, in altri è come ci si comporta in pubblico, in altri ancora è soltanto il modo in cui si cucina. Che c’è dunque da conservare in queste cose? Non è forse vero che la gente se le inventa strada facendo, se le inventa via via che ne ha bisogno?». Così scrive J. Kinkaid in “Un posto al sole” e questa piccola parte che abbiamo riportato si adatta perfettamente al dibattito di questi giorni. Il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha portato in consiglio dei ministri un provvedimento sull’uso di Internet. Ma dopo la riunione ha detto che il punto è stato rinviato perché sono necessari «aggiustamenti».
In queste ultime ore esperti, uomini di cultura e persino i titolari dei social network da altre parti del mondo hanno fatto sentire la propria voce. Anche sulla rete si sono inseguiti commenti e polemiche. Anch’io su Facebook ho lanciato un breve messaggio che nel giro di pochi minuti ha ottenuto una ventina di commenti, tutti diversi tra loro. In tanti hanno detto che è giusta la libertà, ma non bisogna esagerare. È vero, ma è un fatto culturale. Non bisogna esagerare mai, né sulla rete né altrove. Invece questo messaggio rischia di non passare, così come quello che esistono tante regole già scritte che devono essere semplicemente rispettate.
Poi, come ripeto spesso, siamo l’unico paese in Europa e nel mondo dove appaiono tantissimi cartelli “È severamente vietato”. Mi sono sempre chiesto che significa. Me lo sono chiesto sopratutto quando tornando da altri paesi in Europa e nel mondo non ho trovato cartelli simili. Nell’Europa del Nord è addirittura un piccolo consiglio. Da noi invece i caratteri sono cubitali. Perchè se ci scrivono “È vietato” e basta noi lo facciamo regolarmente. E la stessa cosa accade nella rete. È un fatto culturale. E quindi più che fare una nuova normativa è necessario che si lavori anche nelle scuole per la subcultura della legalità, per respingere la cultura dell’odio, della contrapposizione, se così si può chiamare. Perché è vero che quello che si fa su Facebook o su Youtube o in genere sul web si può fare ovunque e comunque con gli stessi rischi e con le stesse normative. Per questo il dibattito di questi giorni è davvero singolare. E lo è come hanno scritto e detto molti editorialisti od opinionisti perché i tanti che parlano con grande tranquillità della pericolosità dei social network non ci sono mai entrati. Forse hanno fatto qualche domanda ai figli che magari ne hanno parlato in maniera strepitosamente entusiastica e si sono decisi, anche per questo motivo, a cercare di chiudere quello che è possibile chiudere.
Ci prepariamo a trovare sulla rete un altro cartello “È severamente vietato” illudendoci che il severamente riesca a fermare quello che il vietato invece può annullare. Perché invece non proviamo a lanciare una campagna sull’uso intelligente della rete? Gli italiani hanno dimostrato di saperla usare come si deve: pensiamo alla raccolta di fondi, indumenti e libri per i terremotati prima e per gli alluvionati dopo. Pensiamo a quanto è stata utile la rete anche ai fini d’indagini. Pure la magistratura e la polizia hanno utilizzato Facebook e Youtube. Oppure pensiamo al caso di quel ragazzo picchiato in carcere il cui caso si è riaperto dopo che la famiglia ha pubblicato le foto su Facebook.
(al continue il coment chi parsore)
RispondiEliminaCerto, aprire gruppi che inneggiano alla violenza o di stupidi che diventano fan di mafiosi o terroristi o folli non è opportuno. Ma queste cose finiranno con nuovi provvedimenti. Ha scritto giustamente Stefano Rodotà che anche il presidente Obama riceve messaggi di morte sulla rete, ma colpiva al contempo con gli americani un rapporto straordinario sulla rete. Sappiamo di dire cose già dette, ma il problema non sono nuove regole. Ma una nuova cultura di quello che rappresentano nel bene e nel male le nuove tecnologie. Occorre lanciare la cultura delle due F (visto che quella dei quattro I non ha dato grandi risultati) e cioè famiglia e formazione. Lavorare su genitori e figli insieme per condividere i benefici della rete e coglierne i rischi. Formare tutti all’uso delle nuove tecnologie per farne un uso diverso. Un sogno? Realizzato in altri paesi dove nessuno parla di regole restrittive, se, come hanno detto in tanti in questi giorni, togliamo la Cina. Il web e la rete sono cultura, possono portare conoscenza e sapere. Così come odio e terrore. Ma il problema è nostro. Dobbiamo decidere come usarli.