Un dai ultins in ordin timp, ma che dal sigûr nol sarà l'ultin, al è stât Gianfranco Ellero sul Gazzettino di chê altre dì. Ellero al tache scrivint "Non sono un linguista e un vocabolarista, ma credo di aver titolo per intervenire nel dibattito sul Grande Dizionario Digitale perché fui il lettore di terzo livello per il Vocabolario di Maria Tore Barbina. La compilatrice, infatti, volle che, in bozze, il suo lavoro fosse criticamente analizzato da monsignor Aldo Moretti, tarcentino, e poi, nella veste di giudice semantico e di "appello", dallo scrivente, parlante dalla nascita il friulano di Fraforeano". (Tai coments dut l'articul di Ellero o fracant chi).
Forsit il prof Ellero nol à let chest document (fracant chi), di fat al dîs che dal vocabolari nol sa tant: lis varietâts a son za previodudis e inseridis in part, parcè che il lavôr al è lunc. Chest al podarès jessi plui svelt se si permetès a plui int di lavorâi parsore: ma, come che al dîs Ellero, chest al coste e se lui al sa cemût tirâ fûr plui bêçs, jo dal sigûr lu ringraziarès di cûr.
Però cumò o provi a fâ ancje un paragon: jo no soi espert ni di ciments ni di costruzions. Ma stant che di cuant che o soi nassût o cjapi la autostrade di Glemone a Damâr par lâ a Tumieç, e ogni volte o fâs il puint che al passe parsore dal lât di Cjavaç... alore cumò o pensi di vê il titul par metimi a fâ i calcui e resonâ su ce maniere che si à di fâ une opare stradâl di chê fate. Chi in bande il risultât: cui vuelial passâ?
A part lis batudis, us torni a segnalâ il document su la lessicografie che al rispuint a tancj altris "dubis ancestrâi" di Ellero che se al ves vût un tic di plui atenzion al varès podût leilu prime di scrivi tantis imprecisions e fâ une brute malinformazion.
Sul Gazzettino
RispondiEliminaIL DIBATTITO
Il Grant dizionari bilengâl dovrebbe "parlare" una lingua in più
di Gianfranco Ellero
Sabato 4 Luglio 2009
Non sono un linguista e un vocabolarista, ma credo di aver titolo per intervenire nel dibattito sul Grande Dizionario Digitale perché fui il lettore di terzo livello per il Vocabolario di Maria Tore Barbina. La compilatrice, infatti, volle che, in bozze, il suo lavoro fosse criticamente analizzato da monsignor Aldo Moretti, tarcentino, e poi, nella veste di giudice semantico e di “appello”, dallo scrivente, parlante dalla nascita il friulano di Fraforeano.
Con riferimento all’equilibrato intervento di Luigi Dal Piccolo nell’edizione del 18 giugno, dirò che condivido la tripartizione degli oppositori da lui proposta (coloro che odiano, coloro che amano il friulano in famiglia, coloro che vogliono imporre il loro friulano a tutti, e quindi si oppongono a un vocabolario che non sia il loro), ma in questa categoria rischiano di finire anche coloro che amano, coloro che per salvare il friulano lavorano al Grant Dizionari Bilengâl.
Non so, infatti, con quali criteri hanno scelto i 6.500 lemmi di base, ma credo siano i migliori “dal loro punto di vista”: ho potuto verificare, infatti, che Pirona, Faggin, Tore Barbina, Nazzi, avevano tutti ragione dal loro punto di vista. Giungerei agli stessi risultati anche studiando il GDB, credo.
Il punto cruciale del discorso è che, ancora oggi, fortunatamente, si impara il friulano locale, non certo quello standard, che sarà forse malamente insegnato alle elementari (se i genitori lo vogliono), puntando soprattutto sulla grafia. E allora dobbiamo domandarci: dato e non concesso che un bambino apprenda in famiglia il friulano dei genitori, e poi riesca a superare le barriere in lingua italiana della televisione e delle maestre d’asilo, dovrà poi studiare il friulano standard e usarlo in famiglia e in paese?
Io credo che molto più utile sarebbe il Grant Dizionari Trilegâl, italiano, friulano di base e varianti, che però, scrive Dal Piccolo, sarebbe molto più costoso. Certo, ma sarebbe anche molto più utile. E nessuno creda che si tratti di varianti di poco conto, come “Lune” e “Luna”, oppure “Cimitieri” e “Simiteri”. Basterà sfogliare il Nuovo Pirona per sapere, ad esempio, che per ragazza/fantate si usa anche, qua e là, zovine, puème, poime, puemàte, polzete, dumble, donzele, e anche màmule, senza contare il termine busdata in uso nello Spilimberghese. L’Aslef (Atlante storico linguistico etnografico friulano) di Pellegrini e Frau, poi, è affascinante proprio per le varianti. La costellazione dell’Orione, ad esempio, viene chiamata “tre res” ad Aquileia, Fiumicello, Cervignano e Carlino; “macis” e “maciutis” nel Friuli centrale; “ris-cel” a Grizzo, Barcis e Poffabro; “bastons” a Flumignano e Varmo...
Mi auguro, in conclusione, che la questione delle varianti non venga risolta d’imperio, per così dire, cioè astraendo dalla realtà. Altrimenti si finirà per imitare coloro che da un centro di potere hanno deciso, in barba ai parlanti, che Cianùs, Roncis, Mussane e Palassôl, si chiamano Cjanus, Roncjis, Muçane e Palaçûl, creando seri problemi di lettura a coloro che, pur amando il friulano, e parlandolo, non vogliono frequentare corsi di rialfabetizzazione.