25 marzo 2009

Biel intervent di Boris Pahor

Us segnali un articul jessût su LengheNET che al fevele di un incuintri cun Boris Pahor, scritôr sloven di Triest (ancje la Patrie e veve za fevelât di lui) che al è intervignût a Cormons par presentâ il so ultin libri. Te interviste al dîs che buine part dai furlans al è aromai talianizât. Jo no dome us consei di lei chest articul, ma us met tal prin coment ancje un so altri intervent jessût cheste setemane sul Piccolo di Triest, li che al fevele di foibis, riconciliazion e veretât storiche masse voltis tradide in non di une ideologjie nazionaliste.
O scuen ameti che fint a cualchi an indaûr no savevi di precîs ce che e significave la peraule foibe, ma tai ultins mês, vint ancje plui contat cun Triest, o ai vude maniere di sperimentâ plui di dongje ce che al è il strissinâsi di un nazionalisim talianon che o crodevi che al fos finît passe 60 agns indaûr e che invezit al continue (nancje tant "sot vie") a strumentalizâ cierts events... Lu sai, o soi stât un tic criptic, ma propit par chest us consei di lei l'intervent di Boris Pahor, che a mi mi à viert i voi.

23 commenti:

  1. Dal Piccolo

    LUNEDÌ, 23 MARZO 2009

    Pagina 15 - Cultura e spettacoli

    INTERVENTO DELLO SCRITTORE DI LINGUA SLOVENA

    Pahor: «Senza simmetria non c’è giustizia storica»

    A proposito delle Giornate della Memoria e della necessità di chiudere i conti con il passato

    di BORIS PAHOR

    Tardi purtroppo, causa le molteplici assenze, prendo in considerazione la savia meditazione che Paolo Rumiz su ”Il Piccolo” del 10 febbraio scorso ci ha presentato sulla ”Necessità di fare chiarezza per chiudere i conti con il passato”. E bisogna riconoscere che il suo non è soltanto l’esame di cui si aveva bisogno, ma ad un tempo la proposta di un’alternativa allo stato presente senza l’attualizzazione della quale non si potrà creare una convivenza basata sulla decenza e l’onestà. A questi sintagmi dell’autore, io ne aggiungerei ancora uno: l’onore.
    Per ciò che riguarda l’onestà, Rumiz, come sempre, è schietto: «Il risultato - dice - è che oggi l’Italia accetta di celebrare le foibe evocando solo la barbarie slava e ignorando quella italiana. Onestà vorrebbe che nel gioco delle scuse incrociate si sostituisse la falsa simmetria con una simmetria autentica. Solo così il dopoguerra, a mio avviso, potrà dirsi finito sulla frontiera. Senza onestà la memoria resta zoppa e il giorno del ricordo potrà creare tensioni ancora a lungo. A meno che non sia proprio questo ciò che si vuole».
    La ”simmetria” autentica credo bisognerebbe cercarla verso la fine dell’Ottocento, quando già le pubblicazioni di maggior diffusione popolare, come per esempio l’«Almanacco Istriano nel 1851», parla di «una legge provvidenziale indefettibile secondo la quale colui, il quale è dotato di un maggior grado di civiltà sovrasta a chi per questo verso è inferiore». Quel “sovrastare” si applicherà con il denigrare la popolazione dei “brutti s’ciavi” o dei “s’ciavi duri” durante il periodo dell’irredentismo, si esplicherà con il voler, poi, conquistare la regione abitata da “pochi residui etnici”, con il dare alle fiamme a Trieste tre Case della cultura ”inferiore” e con i libri della lingua ”inferiore” bruciati davanti al monumento a Giuseppe Verdi, rappresentante della cultura superiore. Questo il razzismo del fascismo squadrista.
    Il fascismo al potere procede vivace con le leggi adatte ad elevare almeno visibilmente genti arretrate alla civiltà superiore facendo sparire i loro cognomi e i nomi di battesimo, operazione unica di pulizia etnica, operazione razzista, che nemmeno alla popolazione ebraica viene imposta. Ed è così reso normale non solo l’annientamento di una comunità senza analfabeti e che durante il periodo di dipendenza da Vienna aveva maturato il suo sviluppo culturale e letterario a livello europeo.
    È stata, quindi, naturale la rivolta a questa nuova forma di schiavitù o di “genocidio culturale”, come lo definì uno storico. Una rivolta prima giovanile e quindi avventata per rendere edotta l’opinione pubblica europea dei diritti umani conculcati, poi, invece, clandestina e capillare, tendente soprattutto alla conservazione dell’identità dalla lingua slovena. Una rivolta saldata con mezzo migliaio di carcerati, nove fucilati, ottantamila esuli.
    La simmetria si accresce con l’annessione in aprile del 1941 della cosiddetta ”Provincia di Lubiana”. La città stessa - oggi capitale della Repubblica di Slovenia - è circondata dal filo spinato mentre dalla “Provincia”, su 335 mila persone, ne vengono deportate 33.500 nei campi di concentramento fascisti, quali Rab (Arbe), Gonars, Visco, Chiesanuova, Monigo, Grumello, e molti altri con un numero complessivo di circa 7 mila morti. Ai quali vanno aggiunti 5 mila fucilati come ostaggi o rastrellati, 900 partigiani catturati, 200 bruciati o massacrati in modi diversi, sicché la somma riportata è di 13 mila morti.
    Per quanto riguarda i beni materiali, viene riferita la distruzione completa di 12.773 case e i danneggiamenti ad altri 8.850 edifici, comprendenti scuole, ospedali e biblioteche. Di più, i responsabili degli eccidi e delle devastazioni, i gerarchi fascisti e i generali - quali Roatta, Robotti, Gambara e altri - sono stati deferiti all’Onu come criminali di guerra. Ma non sono stati né processati né giudicati nel 1946 i criminali nazisti, per non dover in seguito processare quelli italiani. (Vedere, tra gli altri testi, ”L’Espresso” del 2 agosto 2001 e del 27 marzo 2003; ”L’Avvenire” del 10 novembre 1989).
    Ad ogni modo, delle azioni di questi criminali di guerra e del loro insabbiamento, come pure del Ventennio fascista antislavo, la popolazione italiana non è al corrente, e giustamente Paolo Rumiz nel suo articolo constata: «Siamo l’unica nazione europea che ha ben due giorni dedicati alla Memoria. E siamo anche gli unici a servircene non tanto per chiedere scusa quanto per esigere scuse da altri».
    Ciò che trovo ancor più inaccettabile in questa simmetria è che nel momento in cui si tralascia o si cerca di occultare una parte della storia, non solo si presentano con insistenza i misfatti patiti, ma li si amplifica a dismisura in modo sleale senza curarsi dei dati accettati dagli storici competenti. I quali, per esempio, affermano che la soppressione delle persone sparite nel 1945 non può essere qualificata come pulizia etnica, bensì come “irrazionale e crudele risposta alla persecuzione e alla repressione violenta e sistematica”, alla quale furono sottoposte le popolazioni slovene e croate (Giovanni Miccoli). E che così pure si dovrebbero ridimensionare a 4.000-5.000 gli spariti (Raoul Pupo) e ad alcune centinaia le vittime delle grotte e nelle foibe carsiche secondo la Relazione della “Commissione storico-culturale italo-slovena”, che esamina esaurientemente anche l’abbandono dell’Istria.
    Essendo stata finora messa in rilievo soltanto la seconda delle due simmetrie - di modo che la popolazione della prima praticamente non è affatto ufficialmente al corrente - o solo, in parte, dagli scritti e dalle documentazioni di storici e pubblicisti, si attende un aggiustamento ufficiale e onesto (Paolo Rumiz) per ciò che riguarda la sorte dell’«Altra anima di Trieste» (titolo del libro di Marija Pirjevec recentemente edito da Mladika).
    Un atto di onorevole giustizia storica, quindi, ma anche, aggiungerei, fondamento di un’amichevole formazione di un’Europa unita di domani. Le migliaia di allievi e di studenti infatti che ogni anno in febbraio vengono condotti qui da noi avrebbero una più ampia conoscenza degli avvenimenti della prima metà del XX secolo e non coverebbero nel loro animo solo un’avversione verso le malefatte altrui. Basterebbe prendere dal cassetto la Relazione degli storici italiani e sloveni già citata. Così è già avvenuto in Francia e in Germania dove i relativi resoconti sono stati inclusi nelle lezioni di storia dei rispettivi istituti scolastici.

    * I dati di cui non è citata la fonte sono stati presi dal n. 10 (1998) dei ”Quaderni della Resistenza, 1943-1945”, Comitato regionale dell’A.N.P.I. del Friuli Venezia Giulia, intitolato «Foibe e deportazione - Per ristabilire la verità storica» a cura di Alberto Buvoli.

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  2. Us met ancje l'articul citât di Boris Pahor e scrit di Paolo Rumiz simpri sul Piccolo ai 10 di Fevrâr dal 2009


    Per arrivare a una pacificazione non è sufficiente onorare soltanto i morti delle Foibe e della Risiera

    di PAOLO RUMIZ

    A due settimane dal Giorno della Memoria, il 10 febbraio - oggi - ritorna il Giorno del Ricordo dedicato agli esuli d’Istria e Dalmazia e ai morti nelle foibe. Torna con la sua carica di emozioni forti e il suo seguito di dispetti diplomatici fra Italia, Slovenia e Croazia. Ogni volta la stessa storia. Quasi un tormentone a orologeria. Come noto, per metterci una pietra sopra, Roma chiede a Lubiana e Zagabria di concordare un atto simbolico di omaggio ai due luoghi contrapposti della barbarie: le foibe appunto, e la Risiera di Trieste, unico forno crematorio nazista in terra italiana. Un doppio atto catartico, si afferma. Una contrizione equanime e simmetrica, come i due piatti di una bilancia. Ma è qui il punto. So bene che molti non saranno d’accordo, ma a mio avviso quella tra le foibe e il Lager triestino è una falsa simmetria. Mi spiego. Noi chiediamo ai nostri vicini di riconoscere una colpa loro, e in cambio offriamo di dolerci di una colpa niente affatto nostra. La Risiera è un simbolo pesante. Ma ha un difetto: venne gestita da tedeschi, e Trieste era territorio del Reich. È difficile che funzioni. È come saldare un debito con moneta altrui. Perché non si cerca altro? Strano che l’Italia antifascista non ci pensi. Di luoghi alternativi ce n’è d’avanzo. Per esempio l’infame e italianissimo campo di concentramento di Gonars in Friuli, dove civili sloveni e croati furono fatti morire di fame; o il villaggio di Podhum sopra Fiume, una Marzabotto firmata Italia del ‘42, con cento civili fucilati, incendio e deportazione dei sopravvissuti. Sarebbe facile, ma temo che se le nostre controparti ci dicessero davvero “offriteci un pentimento un po’ più italiano”, saremmo colti da amnesia collettiva. Da troppi anni il Paese evita il nodo del pentimento; si genuflette ad Auschwitz ma sorvola sui delitti del Ventennio. Squalifica i liberatori, li trasforma in occupatori, minimizza quel regime che pure Fini ha dichiarato “male assoluto”, e anziché chiedere scusa si limita a costruire un’agiografia di “fascisti buoni” salvatori di ebrei, o dedica strade a propagandisti del Ventennio. Ma questo crea un rischio concreto: che il 10 febbraio vada in collisione col 27 gennaio, o addirittura lo neghi. L’equivalenza criminale tra foibe e lager triestino sembra fatta per tirarsi dietro un’equivalenza politica: nazifascismo=comunismo, mali assoluti entrambi. Ma come possiamo sostenerlo senza negare proprio l’evento fondativo del Giorno della Memoria, e cioè che il 27 gennaio a entrare ad Auschwitz fu l’Armata Rossa? Non basta. Il 10 febbraio lascia intendere che pure noi italiani abbiamo avuto la nostra Shoah. Le nostre vittime, si dice, furono “martiri”. Ma il termine indica l’accettazione della morte in nome di un’idea, cosa che non fu, tanto è vero che non viene applicato nemmeno ai morti di Auschwitz. Difendere questa parola non rischia di sminuire l’orrore incommensurabile dell’Olocausto? Da noi tutto è soggetto a lifting, dalla faccia dei primi ministri alle leggi finanziarie: figurarsi il Ventennio. In questa cosmesi Trieste ha una funzione-chiave. Qui i liberatori dell’Est e dell’Ovest andarono a scontrarsi e la ferocia vendicativa dei primi si scatenò come sappiamo. Ciò ne fa una piazza irrinunciabile per la Destra. Il posto ideale per equiparare i partigiani ai briganti e riciclare i fascisti come difensori della frontiera minacciata dal comunismo. Ma se questo è il fine, allora il 10 febbraio e il 27 gennaio rischiano entrambi di svuotarsi di senso e ridursi a un’autoassoluzione. In fondo la colpa dei forni crematori è tedesca, quella delle foibe slava, e dunque possiamo sempre concludere: innocenti noi, barbari loro. Deponiamo corone d’alloro e torniamo a casa contenti di essere stati, ancora una volta, italiani “brava gente”. Pensiamoci un attimo. Siamo l’unica nazione europea che ha ben due giorni dedicati alla Memoria. E siamo anche gli unici a servircene non tanto per chiedere scusa quanto per esigere scuse da altri. Ma allora a che serve questo nostro 10 febbraio? A celebrare morti e confortare profughi, come è doveroso, oppure ad assolvere gli stessi squadristi che plaudirono alle leggi razziali? L’Italia ignora che quelle leggi furono proclamate settant’anni fa proprio a Trieste ed ebbero un tragico preludio nella repressione contro sloveni e croati fin dal 1920, con diciotto (!) anni di anticipo sulla Notte dei Cristalli. E pochi sanno che i “nostri” ebrei furono portati a morire sulla base di liste tutte italiane, accuratamente redatte nel ’39 dall’ufficio “anagrafe e razza”. Perché non lo si dice chiaro? Perché quel giorno infausto, di cui è appena trascorso il settantesimo anniversario, è stato ricordato in tono minore? Perché non s’è detto chiaro che quel tragico annuncio in piazza Unità ebbe in risposta non un silenzio attonito ma sette – ripeto, sette - ovazioni? C’è chi dice che le leggi razziste dipesero dall’influenza tedesca, ma Mussolini fu esemplarmente chiaro: “Coloro i quali credono che noi abbiamo obbedito a imitazioni – disse - sono poveri deficienti cui non sappiamo se dirigere disprezzo o pietà”. Oggi in Italia si bruciano barboni, le ronde vanno a caccia di “musi neri”, nelle banlieues è scattata l’emergenza etnica, la presidenza del consiglio invece di unire il Paese lo spacca drammaticamente. Lo stesso Fini e parte della Destra sono preoccupati. Ma non è proprio questo che li dovrebbe obbligare a tener desta la memoria per evitare derive balcaniche al Paese? I Balcani non sono forse una tragedia etnica costruita sul cattivo uso della memoria? Invece l’antislavismo resta un pregiudizio vivo a Nordest, e Trieste continua a essere un tappo formidabile sulla Ostpolitik italiana. Il Muro è caduto vent’anni fa, il confine con la Slovenia è caduto, ma la “svendita dell’italianità” è ancora il termine insultante con il quale certa nostra imprenditoria, per invocare protezionismi, bolla in nome della patria ogni tentativo di accordo di frontiera, lasciando così in apnea il porto di Trieste. Non si capisce una cosa ovvia. La potenza tedesca si basa su un pilastro: l’aver chiesto scusa. È questo che ha dato credibilità all’espansione economica di Berlino a Oriente. Noi – che con tutta evidenza ci siamo macchiati di colpe minori - non l’abbiamo fatto, con la conseguenza che l’allargamento dell’Unione europea a Est va a due velocità. A Nord arriva alle porte di Pietroburgo; a Sud non arriva a Punta Salvore. Lo chiamano ricordo, ma quante rimozioni! Non si dice che nel ’19, dopo i bei Ragazzi del Novantanove, sulla frontiera arrivarono uomini neri a portare arroganza, sopraffazione e morte. Si omette che decine di migliaia di austriaci se ne andarono da Trieste a guerra finita perché l’Italia aveva chiuso le loro scuole, dopo che Vienna aveva lasciato fiorire la lingua italiana. Si dice che Trieste fu “redenta”, ma non aveva nulla da cui redimersi. Il porto funzionava, Vienna investiva cifre enormi nello sviluppo, la rete ferroviaria era al top. Il fascismo invece castigò l’Adriatico: la flotta passò al Tirreno e Genova con Napoli saldarano il conto della sconfitta navale di Lissa, inflitta 50 anni prima dagli istro-dalmati sotto il vessillo dell’aquila bicipite. Perché oggi si dedicano discorsi persino ai papalini uccisi a Porta Pia, ma non agli istriani, dalmati, goriziani e triestini che morirono sul fronte russo per obbedire al loro imperatore? Per essi nemmeno un fiore sui Carpazi. Vanno dimenticati solo perché disturbano l’immagine di Trieste italianissima? Quanta storia inghiottita da un buco nero. Giampaolo Pansa fa le pulci alla Resistenza. Benissimo. La storia va sviscerata senza paura. Il problema è che pochi fanno le pulci al fascismo. Chi parla delle repressioni nella Trieste operaia, degli assalti agli sloveni e della loro lingua negata? Chi dei cognomi italianizzati in massa, o dei lager del Duce dove tanti bambini stranieri morirono di stenti tra il ’41 e il ’43? Silenzio indecente su tutto, anche sui 300 criminali di guerra mai passati in giudicato, o sugli squadristi riabilitati nel dopoguerra. È dal ’45 che la Destra persegue coerentemente questa rilettura. Ora ha in gran parte raggiunto il suo obiettivo. A furia di insistere ha ottenuto di fissare il Giorno del Ricordo al 10 febbraio, data del “tradimento” (il trattato di pace che ha ceduto terre a Tito) che mi pare scelta apposta per fomentare revanscismi. Nulla è più pertinace della memoria dei Vinti. Il risultato è che oggi l’Italia accetta di celebrare le foibe evocando solo la barbarie slava e ignorando quella italiana. Onestà vorrebbe che nel gioco delle scuse incrociate si sostituisse la falsa simmetria con una simmetria autentica. Solo così il dopoguerra, a mio avviso, potrà dirsi finito sulla frontiera. Senza onestà la memoria resta zoppa, e il giorno del Ricordo potrà creare tensioni ancora a lungo. A meno che non sia proprio questo che si vuole.

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  3. O zontin ancje un altri contribût

    MARTEDÌ, 17 MARZO 2009

    Pagina 22 - Trieste

    FOIBE

    «Promemoria» precisa (2)

    Visto che il signor Lacota, presidente dell’Unione degli istriani, ha tirato in ballo anche la nostra associazione in merito ai recenti fatti di Lokev, vogliamo puntualizzare alcune cose.
    1. L’associazione Promemoria non è un’associzione della minoranza slovena in quanto tra i suoi associati conta antifascisti di tutte la nazionalità, di Trieste e di altri luoghi di Italia e Slovenia. Il fatto che Lacota e molti altri presentino l’associazione come espressione della minoranza slovena al fine di cercare di porre le questioni in termini di scontro nazionale non può cambiare questo semplice dato di fatto. Siamo d’altra parte convinti che, fortunatamente, Lacota e la sua organizzazione non rappresentano tutti gli istriani, nemmeno quelli esuli, né tantomeno che coloro che tanto si sono agitati in difesa di Lacota rappresentano tutti gli italiani.
    2. Nel dibattito sulla vicenda si è dato per scontato che le affermazioni di Lacota e camerati sul fatto che nella grotta Golobivnica ci siano i cadaveri di alcuni italiani corrispondano a verità. E invece si tratta di un presupposto del tutto falso. Esso si basa infatti su una sola testimonianza (che si trova nel libro tanto sventolato da Lacota a Lokev) di uno sloveno collaboratore dei nazisti, che peraltro non ha né assistito alle presunte esecuzioni né ha visto gli eventuali cadaveri. Questo significa che a Lokev non è stato infranto alcun diritto di Lacota e dei suoi camerati a rendere omaggio a dei morti, che non ci sono, ma che si è trattato invece del tentativo di inventare nuove foibe a fondamento delle menzogne volte unicamente alla riabilitazione del fascismo e dei fascisti. Se Lacota e camerati hanno il diritto di fare questo, allora abbiamo anche noi il diritto di inventare, ad esempio, che nel cortile di casa di Lacota durante la guerra i nazifascisti hanno assassinato degli antifascisti e di organizzarvi delle cerimonie commemorative.
    3. Siamo risolutamente a favore del fatto che si aprano ed esplorino tutte le grotte ed eventuali altre fosse comuni in cui potrebbero trovarsi i corpi di «italiani uccisi solo perché italiani», che si accerti chi erano, come e perché vennero uccisi, e che i corpi eventualmente ritrovati abbiano una degna sepoltura. Naturalmente iniziando dal monumento nazionale di Basovizza. Perché sia posto fine una volta per tutte a speculazioni e strumentalizzazioni.
    Vogliamo infine esprimere la nostra solidarietà ed il nostro sostegno agli abitanti di Lokev e a tutti coloro che hanno voluto contrastare l'iniziativa all'insegna della memoria storica «creativa» di Lacota e camerati, nonché al prof. Samo Pahor, a Peter Mocnik, a Iztok Furlanic e a quanti altri, per le loro coraggiose posizioni, si sono trovati sotto il tiro degli ambienti neo-post-ex-quasi-(o quant’altro)-fascisti, ma anche, purtroppo, di ambienti pretesamente antifascisti.
    Sandi Volk
    presidente dell’associazione Promemoria

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  4. e chest:

    sul Piccolo

    GIOVEDÌ, 12 MARZO 2009

    Pagina 26 - Trieste

    DIBATTITO

    A Globivnica successi fatti gravi ma annunciati: la colpa è del revisionismo storico in atto




    I recenti fatti della foiba di Globivnica sono stati gravi ma purtroppo anche annunciati. Non ci si deve stupire più di tanto se la popolazione locale non ha accolto a braccia aperte i rappresentanti degli esuli istriani, quando è in corso un processo di mistificazione e di revisionismo storico senza precedenti. Già da qualche anno si sta cercando di far passare l’idea che gli unici ad aver sofferto una persecuzione sul nostro territorio siano stati gli italiani residenti sul territorio dell’ex Jugoslavia, mentre la realtà è ben diversa. La minoranza slovena, che abita queste terre da sempre, ha subìto nel ventennio fascista le più crudeli e immani ingiustizie: italianizzazione forzata dei cognomi, la chiusura delle scuole con insegnamento in lingua slovena, la chiusura forzata dei centri culturali e talvolta proprio la distruzione degli edifici stessi (vedi l’incendio del Narodni dom, oggi sede della scuola superiore per traduttori e interpreti), delitti attuati e giustificati da processi farsa, ma definiti «speciali» da coloro che li instaurarono. Per non parlare poi delle quotidiane incursioni squadriste nei vari paesi sull’altipiano, con torture, pestaggi e oltraggi. Il cammino verso un’unione dei popoli e verso una civile e costruttiva convivenza non può avere inizio, se prima l’Italia, da Paese progredito qual è, non si deciderà ad ammettere le proprie responsabilità e prendere definitivamente le distanze dai crimini perpetuati dal fascismo e dagli appartenenti a quel regime, che ha inesorabilmente macchiato la storia d’Italia.
    Riteniamo inoltre stucchevole e di cattivo gusto il tentativo del presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, che ha cercato di tirare in ballo la minoranza slovena di Trieste, ipotizzando addirittura una regia dei vertici delle organizzazioni slovene locali. Per stimolare una tale manifestazione degli abitanti del luogo, non c’è bisogno di nessuna regia, la rabbia e il sempre vivo desiderio di giustizia per vent’anni di sofferenze, sono le uniche ma assolutamente sufficienti forze per scatenare la reazione spontanea di un popolo.
    Concludiamo con una riflessione: Trieste come del resto tutto il paese sta attraversando un periodo difficile e del quale non se ne vede la fine. Unico raggio di sole in questo periodo di oscurità è stata l’entrata della Slovenia nell’Unione europea, fatto che avrebbe dovuto facilitare quella tanto agognata riappacificazione. Purtroppo però il fascismo di confine ha prevalso ancora una volta, portando alcuni esponenti della politica locale ad attaccare la Slovenia e la minoranza slovena di Trieste ogni qualvolta si presentasse l’occasione, cercando di ostacolare ogni tentativo di dialogo, che oggi più che mai è indispensabile per la riqualificazione di una città e di un territorio dalle potenzialità economiche e culturali non indifferenti. Il dialogo e la riappacificazione tra Italia e Slovenia ma soprattutto tra Trieste e la Slovenia sono indispensabili per riportare Trieste ai fasti di un tempo, quando come crocevia di merci e culture, la nostra città si impose come porto principale dell’Adriatico e tra i più importanti del mediterraneo.
    I giovani della

    Slovenska skupnost

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  6. Grazie Sandro pal to contribût.

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  7. Sandro, se tu calcolis che la lenghe furlane e chei altris argoments che si tratin in chest blog a sedin "cosine", mi pâr che no tu vedis capît masse propit dal argoment che ti interesse di plui, vâl a dî di politiche.
    Simpri restant su la politiche: tu tu viodis ancjemò il mont dividût tra talians e slovens... si viôt che al è di mode il vintage agns '40.
    O tornarai a leimi Orwell (par altri cumò e je ancje une biele traduzion par furlan...) cu la tô gnove clâf di leture, vâl a dî che nol veve capît nuie dal mont e de societât.

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  8. Ustie, Sandri vs Sandro... =)
    dut câs o aprofiti par rimarcâ une robute: se ancje Gianfranco Fini al dîs che Mussolini nol è stât un grant statist, o pensi che jo o vedi dute la libertât di declarâmi antifassist, no?

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  9. "(...) E non è imporate se i Casalesi ci sono o sono una chimera.(...)".
    I casi sono 2:
    (1)
    "imporate" è un errore di battitura e voleva dire: "importante";
    (2)
    "imporate" è un errore di battitura e voleva dire: "non date retta a quello che sto scrivendo, sto solo imparando a premere i tasti. La prossima volta, però, vi prometto che prima di scrivere su una pagina Internet (che recherà per anni la mia dichiarazione) un'affermazione relativa all'inesistenza un famoso clan camorristico ci penserò prima".

    Io voto per il caso 2.

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  11. Inizio ringraziando Christian per aver pubblicato i due interventi. Non li avevo letti e sono veramente interessanti. Dispiace che queste pagine vengano usate per delirare su questioni serie.

    Adesso chiedo scusa e cambio completamente "registro": se delirio dev'esser delirio sia...

    Non volevo fare il "furbino". Era per me imporate dare una logica alle affermazioni lette.

    Certo, che Orwell venga definito uno "psicopatico alcolizzato" è un po' curioso ma ci torniamo dopo.

    Che all'affermazione "...vedi ancora il mondo diviso in italiani e sloveni" venga risposto "non dirmi che non c'è differenza fra italiani e sloveni" è già un esempio di genio!

    Ma il massimo della logica si raggiunge quando viene dimostrata l'inesistenza della camorra attraverso l'affermazione "Per lavoro frequento il Sud e non mi hanno ancora mai sparato" (n.b.: in 40 anni sono oltre 3.000 i "morti di camorra" nella sola Campania).
    Questi si che sono ragionamenti CONVINCENTI, intrisi di LOGICA e CAUTELA!
    Mica come quello psicopatico alcolizzato di Eric Arthur Blair che scriveva solo cazzate!

    A proposito di Orwell, il fatto che "Animal Farm" sia stato scritto nel 1945 da un uomo che da oltre 10 anni dichiarava il proprio antistalinismo immagino sia un dettaglio di poco conto.
    Io sono un ignorante e quando penso a scrittori con il "vizio del bere" penso a Ernest Hemingway o a Jack London. Quando penso a Orwell mi viene in mente la tubercolosi.

    Ma sicuramente è una mia lacuna.

    Vi faccio notare che ho scritto " ...Era per me imporate dare una logica alle affermazioni lette". "Imporate" è un errore di battuta, in realtà volevo dire: "tutto quello che ho scritto è una scemenza perché io sono uno psicopatico alcolizzato.".

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  12. Par continuâ il discors che o vevi inviât, o eviti di comentâ i 20 agns di fassisim (che tant o vin za viodût ce che nus àn puartât...) e us segnali cheste Olme di pre Antoni Beline: Memorie Infoibade

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  14. Sandro examba, intant grazie pai compliments, però no stâ cjapâte. Jo o ai proponût un argoment, tu tu sês intervignût e tu âs comentât come che tu crodevis, fasint capî che no tu condividevis.
    Se però cualchidun al interven e al fâs capî che nol condivît ce che tu scrivis, no tu âs di rabiâti: al fâs part dal zûc. no?

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  15. Caro Examba,

    la ringrazio per l'augurio: in questo periodo milioni di persone in Italia vorrebbero andare a lavorare.

    Non c'è che dire: lei con questa e con quella dei Casalesi ha dimostrato di saper trovare sempre le parole giuste al momento giusto.

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  17. Mandi Exanba (e scuse se no ai scrit just il to non).
    Mi plasarès savê ce che tu âs cognossût di pre Antoni grazie a Marino... e ancje a mi mi sarès plasût vioditi a frontâ a 4 voi pre Antoni.
    Par chel che al rivuarde lis foibis jo no ai nissun fastidi a fevelânt parcè che mi interesse capî e no fâ ni negazionisim ni apologjie.
    Ti dîs dome che se ancje al fos dome un muart e sarès une robe brute, ma ancje tant brut al è doprâ chei muarts par finalitâts politichis.
    Jo o rispieti i muarts, ma mi fâs une vore mâl viodi cualchidun che al dopre cierts episodis par alimentâ divisions e fâ propagande.
    Mi plasarès pardabon che si rivàs a fâ un censiment e dâ une degne sepolture a chei che a son finîts là sot.
    Intant ti consei, simpri parcè che mi plâs discori (e no mi interessin lis tôs menacis) chest libri: tes ultimis pagjinis tu puedis lei ancje la testemoneance in ricuart di une rifugjade nassude a Cjaudistrie tal 1893 e rivade a Udin tal 1950. Chest ultin intervent al à chê di cirî di recuperâ lis masse pagjinis sbregadis de storie e dâ cussi un contribuì diret no condizionât de propagande "Par agns i rifugjâts istrians a son stâts menâts pal nâs: "l'Istria tornerà italiana" e diseve la drete, inmò fassiste, dal Msi di Giorgio Almirante... Ma la Italie e à pierdût la vuere e la Istrie e je e e resterà teritori sloven e cravuat. Lu àn simpri savût, dai timps dal Memorandum di Londre. Bausârs" e je la denuncie firmade dal nevôt di Antonia, ultime istriane derubade de sô identitât.

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  18. E ti disveli un segret: al è dibant che tu vadis ator a dî che ti "bani": jo no pues impedîti (no soi bon di fâlu e se ancje lu fos, no lu fasarès par principi) di comentâ parcè che fint che tu âs un account cun username e password tu puedis jentrâ e scrivi ce che tu vuelis, ma ten presint simpri che dut ce che tu scrivis al reste.

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  20. Mandi Exanba,
    o viôt che no tu mi rispuindis, ma tu continuis a butâ jù declarazions che no rivi a capî: magari no dome o soi zovin, ma ancje tart di "comprendonio" ;)

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  21. Christian,
    quello che scrivi resta.

    La vera questione è che devi anche decidere se ogni parola che viene scritta in questo blog deve essere necessariamente commentata.

    Voglio dire: ci sono persone che per fare questo vengono pagate.
    Quindi, per piacere, visto che sei giovane e hai una voce giovane, vatti a fare pasquetta e divertiti.

    E considerato che sei ANTIfascista, e di conseguenza devi essere ANTIcomunista, fammi un piacere -se puoi- e la prossima volta che ci vediamo cerca di essere in ANTIcipo così non faccio troppa ANTIcamera e non mi diventi ANTIpatico.

    ...ANTIamo... non prentertela.

    Buine Pasche.

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  22. Cjâr Sandro,
    prove a pensâ un pôc parcè che diviers furlaniscj, e za di scuasi un secul incà, o magari ancje di plui, si sintin plui dongje dai slovens o dai austriacs che dai venits...
    E je une tradizion politiche avonde lungje: la mê rispueste e je che slovens e austriacs no àn mai cirût di scancelâ la esistence de identitât furlane, invezit scancelâle al è une prioritât pal nazionalisim talian di frontiere, che al à doprât e al dopre ancjemò la romanitât e la veneticitât (par altri cun ignorance e paradòs).
    Pe tolerance e ricercje di ecuilibri tra lis diviersis identitâts la Italie e à dut di imparâ, e jo, che o soi furlan, mi sint une vore plui fradi di un sloven o di un austriac che di un talian nazionalist. Fasiti un esamut di cussience: cualchi an indaûr une statistiche dal Messaggero Veneto (che Diu ju perdoni!) e faseve savê che une buine maiorance dai furlans si sintivin prime europeans che no talians. Se la Italie e podès vuarî des sôs psicosis (o tornìn simpri li!) nazionalistis, magari lis robis a podaressin cambiâ, ma pal moment...
    mandi - wierderschau - nasvidenje!

    Sandri

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