E je vere che no si à di creâ alarmisim, ma dute chel fevelâ di nucleâr che si à vût tai ultins dîs, al à trascurât un fat. E la notizie dal incident te centrâl nucleâr in Slovenie nus à tornât a fâ spiçâ lis orelis.
E je ancje vere che o vin un probleme di energjie, ma secont me prime di vierzi rubinets gnûfs par fâ jentrâ aghe, al sarès il câs di stropâ cualchi buse che e je te podine... e je une metafore, ma o pensi che e rindi...
E po, se ta chescj vincj agns che o sin restâts fers, no je stade tirade fûr une soluzion al probleme energjie, a voaltris no us pucial di stiç?
Un "controcorrente" non il Verbo ma uno spunto per lo meno.
RispondiEliminaIl Giornale
Giovedi 15.05.2008
Lo sperpero è puntare sul fotovoltaico.
di Franco Battaglia
Mi dicono, scandalizzati, che la famiglia di Beppe Grillo assorbe 4300 watt di potenza elettrica, quanto 12 famiglie. Lo scandalo nascerebbe o dal fatto che sarebbe ritenuto «immorale» un consumo energetico così elevato, o dal fatto che il signor Grillo sarebbe di quelli che predicano bene ma razzolano male, visto che nelle sue comiche invoca il risparmio energetico. O da entrambi i fatti. Insomma, mi si chiede di scagliare una pietra contro uno che, molto impropriamente, tante ne ha scagliate. Mi spiace ma, quanto al primo fatto, provo ammirazione (e un pizzico d'invidia) per Grillo: più energia si consuma, meglio si sta. Piuttosto, pretendere di risparmiare energia è la più pericolosa delle manovre, come meglio preciseremo. Quanto al secondo fatto, Grillo andrebbe, piuttosto, compatito: evidentemente, cosa l'energia sia e perché è essa la fonte del nostro benessere egli non lo capisce. Ma non è colpa sua: Grillo non capisce nulla delle cose di cui parla, e infatti è un comico ed è per questo che fa ridere. Pare che siano molti ad avercela con lui, ma non dovrebbero, dimenticano la natura della professione che fa: comico, clown, pagliaccio, buffone.
Mi dicono, anche, che Grillo ha installato 2000 watt-di-picco di pannelli fotovoltaici. I quali, siccome il sole non se ne sta sempre lì a brillare allo zenit di un cielo limpido, corrispondono a 200 watt reali: ben poca cosa a fronte dei 4300 assorbiti. Grillo è un genovese doc, e allora può essergli, se non utile, forse istruttivo, ma sicuramente doloroso, sapere che quei pannelli FV - che, se li ha pagati lui, gli saranno costati qualcosa come 12.000 euri - gli fanno risparmiare meno di 300 euri di energia elettrica l'anno e, quindi, recuperare «l'investimento» (le virgolette sono d'obbligo) in più di 40 anni. Può darsi che qualcuno glieli abbia regalati e può anche darsi che Grillo si avvalga delle sovvenzioni al FV deliberate da amministrazioni che, amministrando esse il nostro denaro, non hanno alcun problema a essere garibaldine; ma chiunque sia a pagare, gli impianti FV si ammortizzano, in Italia, in più di 40 anni (l'Italia è il paese col kWh più caro al mondo: in Francia, un impianto FV si ammortizza in 60 anni). Insomma, caro Grillo, gli impianti FV sono una colossale sòla. E veniamo al risparmio energetico: innanzitutto, è evidente che chi lo invoca non lo fa in nome del risparmio del denaro, perché, come abbiamo visto, il denaro corre a fiumi (nelle tasche d'altri). Risparmiare energia non significa neanche «usarne di meno facendo le stesse cose»: questa si chiama «efficienza».
Cosa sacrosanta ma che - bisogna avvertire - ha l'ineluttabile conseguenza, piaccia o no, di far consumare più energia (gli economisti lo chiamano paradosso di Jevons): dopo aver ottenuto frigoriferi più efficienti, ci dotiamo di congelatore; e dopo aver prodotto in modo più efficiente acqua calda, ci dotiamo di idromassaggio. Risparmiare energia non significa neanche «non usarla quando potremmo evitarlo»: questo si chiama «non spreco». Risparmiare energia, allora, può significare una sola ragionevole cosa: non usarla quando vorremmo usarla, cioè in definitiva, usarne di meno. Questo sarebbe disastroso. Per capire quanto, basti solo pensare che nei 10 anni dopo il 1929, il consumo d'energia si ridusse del solo 8%: furono, quelli, gli anni della Grande Depressione.
Beppe Grillo, allora, nel settore dei consumi energetici, più che da stigmatizzare, sarebbe da imitare e prendere a modello: tutti noi dovremmo pretendere un'energia meno cara, sì da poterne consumare quanto lui o, comunque, di più, avere quindi più posti di lavoro e più benessere. Ma per avere un'energia meno cara dobbiamo interrompere ogni sperpero su fotovoltaico eolico e biocarburanti: Grillo ha facilmente assorbito quella sòla, ma un paio di miliardi nel mondo ci stanno morendo di fame.
energjis alternativis a 'nd'è, e di tant timp, ma masse interes daur nus costrinzin a tirâ la cuarde e cjalâ la int che mur di fam... =(
RispondiEliminaSul Friuli di cualchi zornade indaûr al jere un biel servizi, che us ripropon. Grazie a Alessandro che lu à scrit!
RispondiEliminaCala il deficit
Serve energia. Lo hanno ripetuto politici e industriali, uniti nel coro dolente di chi chiede di fare presto. “Emergenza energia in Fvg, il deficit aumenta”, recita a titoli cubitali un quotidiano locale, ma poi, se si legge con attenzione i dati diffusi da Terna, relativi al 2006, si scopre che invece il deficit sta calando. C’è ancora, ma è di appena 447 GWh (Gigawatt ora), ovvero di gran lunga inferiore a quanto registrato nel 1999, quando l’energia prodotta era la stessa di dieci anni prima. Oggi è molto probabile, vista l’apertura di nuovi impianti a biomasse, la riapertura di centraline idroelettriche, l’aumento degli impianti fotovoltaici e l’entrata in funzione della centrale a gas di Torviscosa, che di energia elettrica non ne manchi. Anzi, ne avremo in eccesso, anche perché i tempi per la realizzazione di nuovi elettrodotti, che porteranno giù corrente dall’Austria e dalla Slovenia, sono ormai maturi, nonostante la strenua opposizione dei territori che saranno attraversati dai tralicci.
Un dato, invece, è inconfutabile: consumiamo sempre più energia, nonostante i continui proclami che bisogna ridurre gli sprechi. Eppure, l’avvento di macchinari sempre meno esigenti e di tecniche di riduzione dei consumi più efficaci avrebbe dovuto portare, quanto meno, a un livellamento dei consumi. In realtà siamo sempre più energivori e sempre meno disposti a riflettere sul fatto che l’energia, che usiamo e spesso sprechiamo, la paghiamo due volte: prima in bolletta e poi quando usciamo di casa e ci troviamo di fronte al nuovo elettrodotto o all’ennesima centrale. Il problema dello spreco è ben presente tra gli industriali, in assoluto i maggiori utilizzatori di energia, ma gli imprenditori sanno bene che la competitività si gioca anche sul piano dell’efficienza energetica ed è probabile che il contenimento dei consumi diventi presto un fattore competitivo, più importante di tanti altri.
Dove va peggio è nel settore terziario e in quello domestico. Le amministrazioni pubbliche sprecano quantità enormi di energia e sono davvero pochi gli amministratori che attuano politiche di contenimento dei consumi (non sono tali le installazioni di pannelli fotovoltaici perché il fatto di produrre energia non da poi il diritto di sprecarla).
Sul versante domestico, cambiare le lampadine e passare a quelle a basso consumo serve a poco se poi insistiamo a usare l’asciugatrice nonostante la bella giornata di sole o il condizionatore d’aria anche quando ci sono 25 gradi, con buona pace degli inguardabili servizi televisivi sull’allarme per il caldo, quelli sì capaci di far salire la temperatura, ma soltanto per spingerci a nuovi acquisti.
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RispondiEliminaL’alternativa possibile
Più risparmio e rinnovabili
Se manca energia si può costruire nuove centrali oppure agire concretamente per eliminare i troppi sprechi. Roberto Iodice,direttore del Centro ecologia teorica ed applicata di Gorizia (Ceta) è da sempre convinto fautore di un uso diverso, o se si vuole più intelligente dell’energia: “Le ultime stime affermano che si potrebbe risparmiare all’incirca il 25 per cento dell’energia consumata - conferma Iodice - perché ci sono ancora molti spazi per migliorare, non tanto nel sistema industriale che pure si sta muovendo, quanto nel terziario e nel settore domestico, sempre più energivori in termini di energia elettrica e termica. Basta dare un’occhiata a molti impianti di illuminazione pubblica per accorgersi che si potrebbe illuminare meglio diminuendo i consumi, ma serve un’evoluzione culturale. Gli amministratori locali non fanno altro che seguire le istanze dei loro amministrati e se tra la gente si rafforzerà la cultura del non spreco, allora anche gli enti locali dsi adegueranno”.
Quanto alle soluzioni possibili, per garantire energia elettrica alla regione, Iodice esce dal coro di chi chiede subito centrali nucleari: “Nel caso della nostra regione alcune iniziative sono state portate a termine per renderci meno dipendenti dai combustibili fossili. Sono stati realizzati molti impianti a biomasse e fotovoltaici, basandosi quasi sempre sugli strumenti messi a disposizione a livello nazionale. Spero che l’amministrazione regionale, con gli strumenti della pianificazione e della programmazione saprà dare nuovo impulso al settore delle energie rinnovabili perché proprio queste ultime sono pronte per essere utilizzate e non richiedono progetti che richiedono anni e anni per la loro realizzazione”.
Il problema vero, quando si parla di energie rinnovabili e, in particolare di fotovoltaico, non sta tanto nella loro presunta antieconomicità (uno degli strumenti usati dai nuclearisti per negarne l’utilità) quanto nel fatto che non esiste in Italia un tessuto produttivo capace di fare lobby, come invece sta avvenendo con chiara evidenza nel caso del nucleare e dei grandi impianti termoelettrici: “Il fotovoltaico - conferma Iodice - può essere uno strumento molto valido, nonostante gli incentivi, ma dà fastidio alle grandi lobby dell’energia perché rappresenta un modello diffuso di produzione, come tale non controllabile e gestibile dai grandi potentati economici. C’è invece da chiedersi perché mai, con le grandi potenzialità che ha l’Italia, non ci siano ancora produttori decisi a investire su questa tecnologia”.
Che la tecnologia del fotovoltaico si sia evolvendo, molto più rapidamente di quanto non avvenga con il nucleare, sembra essere confermato dalla notizia che un centro di ricerca olandese specializzato nelle nanotecnologie ha scoperto un sistema per triplicare la capacità di produrre energia dalle celle solari, mentre negli Stati Uniti i progressi più interessanti riguardano i film sottili, pronti ormai per essere commercializzati su larga scala dopo aver superato alcuni gravi limiti legati alla loro efficienza.
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RispondiEliminaKrsko, l’atomico della porta accanto
L’impianto nucleare più vicino al Friuli Venezia Giulia è quello sloveno di Krsko, dove funziona dal 1983 un reattore Westinghouse (di produzione statunitense) capace di fornire 632 Megawatt utilizzando uranio arricchito. In linea d’area da Udine si parla di circa 180 chilometri. Insomma, vista anche la direzione dei venti (in caso di fuga radioattiva la nube arriverebbe sul Friuli nel giro di un’ora e mezza), questa centrale si trova sulla nostra porta di casa.
Si tratta, in buona sostanza, di un reattore di seconda generazione, e quindi più avanzato per tecnologia e sicurezza rispetto alle centrali italiane di Trino Vercellese, Latina e Garigliano, spente dopo il referendum del 1987 ma mai smantellate, e similare a Caorso, inclusa anch’essa tra le strutture di seconda generazione.
L’impianto nucleare fornisce il 24 per cento del fabbisogno interno sloveno e il 17 per cento di quello della Croazia, nazione che ha la comproprietà della centrale tramite la società Nuklearna Elektrarna Krsko dopo la sigla di un apposito accordo nel 2001, ponendo così fine a ben 13 anni di discussione su chi dovesse gestire la centrale atomica, che resta un elemento fondamentale nel sistema produttivo di entrambi i Paesi. All’inizio degli Anni ’90 il complesso, dopo alcuni problemi riscontrati ai generatori di vapore, è stato sottoposto a un’estesa opera di ammodernamento con l’adozione di tecnologie più avanzate per la sicurezza.
Fino ad ora, non si sono mai registrati incidenti o perdite di qualsiasi genere di materiale radioattivo, fatto confermato anche da alcuni attivisti sloveni di Greenpeace, contattati per l’occasione. Anche il livelli di radioattività circostanti il complesso, oggetto di costante monitoraggio, sono del tutto paragonabili a quelli normalmente presenti sul territorio.
Tuttavia, è la localizzazione stessa della centrale a creare pesanti timori, trattandosi di un territorio ad elevata sismicità. Neppure lo studio indipendente, condotto all’inizio degli Anni’ 2000, ha permesso di chiarire fino in fondo l’effettivo rischio, reso più elevato dal fatto che, a parere di molti osservatori, le strutture in cemento non sono state costruite in maniera tale da poter resistere a sismi di elevata potenza.
All’inizio dell’anno un esponente del Governo sloveno ha parlato della possibilità di costruire un nuovo reattore nello stesso complesso realizzato sulle rive del fiume Sava - in tal senso pare ci fosse stato un interessamento diretto del Governo italiano alla ricerca di contropartite per realizzare nel Golfo di Trieste l’impianto di rigassificazione - raddoppiando di fatto la capacità produttiva, mentre altre fonti indicano che la Slovenia sarebbe intenzionata ad estendere la vita utile della centrale, la cui chiusura è programmata per il 2023. Il problema più grosso da risolvere - ma questo vale per tutte le centrali nucleari del mondo - resta certamente quello delle scorie prodotte dalla centrale, tuttora depositate al suo interno e per le quali si stanno cercando soluzioni, ma appare evidente che il loro smaltimento diventerà una questione sempre più delicata mano a mano che ci si avvicinerà alla data di spegnimento.
Per quanto concerne il nostro territorio, sperando che oltre confine non accada nulla, possiamo comunque dire che il livello dei controlli e dell’attenzione non è mai venuto meno dal 1986 (anno del disastro di Chernobyl). Lo ha confermato anche Concettina Giovani, coordinatrice della sezione di fisica ambientale del Dipartimento di Udine dell’Arpa: “La raccolta di dati sul livello di radiazione al suolo e in atmosfera non è mai cessato ed anzi, nel corso degli anni, la rete di rilevamento è stata migliorata ed integrata anche con centraline gestite dal ministero dell’Interno tramite i Vigili del Fuoco e dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente nazionale. Compiamo inoltre controlli anche sugli alimenti, sui muschi e sui funghi. Di fatto, se si verificasse in qualsiasi parte dell’Europa un incidente lo sapremmo con assoluta certezza e rapidità. A titolo d’esempio, per spiegare quanto raffinati siano le misurazioni, cito il fatto che la nostra rete di rilevamento aveva percepito il pur minimo innalzamento del livello di radioattività a seguito del piccolo incidente accaduto in Spagna qualche anno fa, quando per errore era stata fusa in acciaieria una sorgente di Cesio mescolata ai rottami ferrosi. Attualmente il livello di radioattività in superficie è praticamente quello di fondo, mentre entro un metro di profondità, nei punti dove si era verificato il maggiore deposito di radioisotopi (Val Resia e Val Raccolana) è all’incirca del 40-50 per cento rispetto a quella registrata subito dopo l’incidente di Chernobyl. Oltre ai tempi di decadimento del Cesio, infatti, bisogna tenere conto del fatto che le radiazioni tendono a scendere in profondità. Dopo Chernobyl non abbiamo mai registrato il superamento dei limiti se non in casi molto sporadici”.
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RispondiEliminaCosì il Friuli diventerà nucleare
Mai dire mai. La pesante pietra tombale messa sul nucleare dal referendum del 1987 ha cominciato a spostarsi, sempre più rapidamente, fino alla resurrezione vera e propria, culminata con l’annuncio dal ministro allo Sviluppo economico Claudio Scajola, davanti alla platea degli industriali, che tempo cinque anni si poserà la prima pietra di un nuovo impianto.
In molti avevano capito che di nucleare si sarebbe tornato a parlare e a discutere, perché numerosi erano i segnali in tal senso, soprattutto da quando il prezzo del petrolio ha cominciato una ricorsa verso l’alto della quale, al momento, nessuno conosce la fine. Il lavoro dei favorevoli al ritorno dell’atomo, in questi ultimi anni, non ha conosciuto sosta. Un lavoro lento, ma costante, fatto di incontri, convegni, discussioni, siti internet e tutto quanto poteva servire a spingere un opinione pubblica riottosa a più miti consigli.
Scelta di facciata
A voler essere del tutto sinceri, del nucleare l’Italia aveva fatto a meno soltanto a parole. Nei fatti, abbiamo continuato ad acquistare energia da Paesi dove sono in funzione centrali nucleari o, addirittura, abbiamo comprato le società che gestiscono gli impianti, come fatto dall’Enel in Slovacchia. Il nostro Paese sta annaspando, dal punto di vista energetico, dopo lunghi anni di immobilismo: non soltanto abbiamo abbandonato il nucleare, ma ci siamo concentrati sul termoelettrico legandoci mani e piedi al petrolio, senza che fossimo capaci, a livello di ricerca e industriale, di individuare una via italiana alla produzione di energia. Nel frattempo, ci hanno insegnato a consumare sempre più, a colpi di spot pubblicitari e di informazione scorretta, senza che sia mai stata attuata una seria politica di contenimento dello spreco.
Lobby in azione
Sull’utilità o meno di costruire nuove centrali con le tecnologie attuali il fronte è spaccato: c’è chi chiede di partire subito forte delle conoscenze, che pure ci sono - guarda caso si tratta degli industriali, di Enel, Edison ed Eni, sostenute da sigle come Cirn (Comitato italiano per il rilancio del nucleare) e Ain (Associazione nucleare italiana) - e c’è chi invece chiede di puntare direttamente sulle centrali di IV generazione o meglio, sulle centrali al Torio e a fusione - in tal senso si è pronunciato a più riprese anche il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia -. In questo dibattito sembra restare ai margini chi ha sempre puntato sulle energie rinnovabili sia in termini di impianti, sia di ricerca che finora è sempre stata scarsa o nulla.
Nullaosta
Ora che il vento del nucleare soffia impetuoso e che anche i nostri politici regionali si sono dichiarati tutt’altro che contrari - leggasi le dichiarazioni del nuovo Governatore Renzo Tondo -, si tratta di vedere se l’ipotesi di realizzare una centrale in regione è verosimile. Nel piano redatto per il Partito delle libertà dall’ingegner Guido Possa, convinto del fatto che soltanto il ritorno al nucleare con elevati investimenti possa farci uscire dall’emergenza, è Monfalcone il sito indicato per realizzare il nuovo impianto in Friuli Venezia Giulia.
Cantieri “radioattivi”
Perché Monfalcone? Perché c’è già una centrale con tutta la rete infrastrutturale conseguente e perché è vicina al mare. A una centrale nucleare servono enormi quantità d’acqua per il suo raffreddamento e non è un caso se il nuovo impianto più vicino sarebbe poi quello di Chioggia.
C’è stato però anche chi, nel settembre dell’anno scorso, ha affermato che un impianto atomico si potrebbe costruire nella zona industriale di Rivoli - Osoppo, notizia che ha fatto sudare freddo amministratori e vertici del Cipaf che, durante l’incontro organizzato dall’infaticabile attivista del Cirn, Renzo Riva, diviso tra le iniziative per il ritorno al nucleare e la più viscerale avversione a qualsiasi utilizzo di energie rinnovabili. In quell’occasione, Marino Mazzini, docente di Ingegneria nucleare e sicurezza industriale dell’Università di Pisa aveva affermato che si poteva tranquillamente realizzare un impianto nella zona, ma i costi sarebbero saliti a causa dell’elevata sismicità. Altrimenti, c’erano a disposizione territori migliori, quelli alla destra del Tagliamento, da Flaibano e fino alla foce, sulla costa da Lignano a Punta Spigolo passando per Marano, Aussa Corno e Grado, senza tralasciare una parte dell’entroterra nella zona di Torviscosa, dove pure è già in funzione da un paio d’anni la nuova centrale a gas.
Tutto bene, allora si parte? Non esageriamo. I cinque anni indicati dal ministro Scajola per mettere il primo mattone sembrano inverosimili vista la situazione italiana, ma anche sulla presunta economicità del nucleare, nonostante quanto sostengono i suoi fautori c’è parecchio da discutere: perché una centrale atomica costa tanto da costruire (anzi i costi sono in vertiginoso aumento), ma costa ancora di più se si tratta di smantellarla, col risultato che la sua reale convenienza è tutt’ora oggetto di discussione, almeno tra coloro che nel nucleare non intravedono lauti affari e rischi inaccettabili.
I soliti ritardatari
C’è poi la questione tecnologica: “Tutte le soluzioni sono possibili - ha spiegato qualche giorno fa Luigi Paganetto, presidente dell’Enea - ma se si costruissero oggi le centrali con la tecnologia attuale, queste diventerebbero obsolete nel giro di vent’anni”. Ovvero, se davvero vogliamo fare tutto e subito, finiremo col trovarci pieni di centrali nate vecchie. Come dire: ancora una volta ci saremo svegliati in ritardo.