27 agosto 2007

Molinaro

E ancje Roberto Molinaro al è intervignût sul furlan cuntun intervent che nol jere mâl, ma masse condizionât de sindrome dal "IO C'ENTRO"!
Cun di plui al à doprât une brute peraule "Talebans" che e tache pardabon a stâmi sul cûl!
Lait a lei il prin coment...

15 commenti:

  1. Sul MV dai 23 di Avost


    IL FRIULANO E I “TALEBANI”
    di ROBERTO MOLINARO*

    I trascorsi mesi di questa primavera-estate 2007 sono stati caratterizzati da un ampio e in parte sorprendente dibattito sulle prossime scelte legislative che, a livello regionale, si intendono fare per la tutela e la valorizzazione della lingua friulana. Un fatto positivo sia per l’argomento, la lingua minoritaria friulana e quella slovena sono ancora elementi fondativi e giustificativi di una Regione ad autonomia differenziata, sia per l’ampiezza degli interventi, infatti tanta attenzione anche da parte di Trieste e Gorizia è sicuramente senza precedenti. Tanto rumore che sicuramente tornerà forte nelle prossime settimane, quando la materia sarà all’attenzione del consiglio regionale non si evidenzia a caso, nonostante le facili strumentalizzazioni: è una sfida aperta al Friuli di oggi e alla sua capacità di costruire il futuro, in uno scenario completamente nuovo, post ideologico. Le norme fondamentali in materia di lingue minoritarie esistono da tempo: la legge statale, la n. 482, è del 1999; la legge regionale n.15, frutto di una pregevole sollecitazione degli allora colleghi Sergio Cadorini e Sergio Ceccotti, risale al 1996. Tutte norme che hanno trovato solo parziale applicazione e che, per lo più, sono rimaste oggetto di attenzione solo da parte degli addetti ai lavori. Anche le risorse utilizzate nei dieci anni decorsi sono state alquanto limitate, poco più di 21,5 milioni di euro, provenienti dallo Stato e dalla Regione, quasi tanto quanto il presidente Illy ha speso per le imprese per la ricerca e l’innovazione nel solo anno 2006. Perché allora tanto clamore e così tante posizioni “talebane”? Meglio insegnare il cinese, è arrivato a dire il sindaco di Trieste, il friulano Di Piazza. Promuoverà, invece, un referendum abrogativo delle future norme l’ulivista isontino onorevole Maran. Dal fronte opposto, il leader storico dell’autonomismo friulano professor D’Aronco chiede che tutte le materie nella scuola possano essere insegnate in lingua friulana; lo stesso presidente Illy, a caccia di consensi friulanisti, promette friulano per tutti, salvo rifiuto espresso, dimenticandosi che le fondamentali e non superabili norme in materia di opzione per i genitori all’atto della prescrizione lo Stato le ha già fissate quasi dieci anni fa. È comprensibile che i toni del dibattito siano ormai pre-elettorali e che l’insegnamento nella scuola, peraltro già in atto in molte realtà, colpisca sensibilità trasversali. Ma purtroppo ancora una volta sono tornate vecchie e desuete categorie ideologiche per caricare un argomento di una valenza politica volutamente di parte, arrivando a una rappresentazione delle questioni avulse dalla loro realtà. Ci sono alcuni problemi di fondo, che non vanno persi di vista. Per primo il valore che attribuiamo alla lingua friulana. Consideriamo o no una Regione plurilingue un’opportunità, una risorsa, un fattore di competitività per concorrere alla modernizzazione del Friuli in un’Europa dove ben 50 milioni sono i parlanti una lingua diversa da quella ufficiale, senza alcuna rinuncia alle altre lingue straniere moderne? In altre parole, la lingua friulana e ciò che a essa è connesso in termini di cultura, tradizione, identità è un bene comune di cui le nostre comunità vogliono disporre, in un quadro ordinamentale che colloca tale situazione tra i diritti individuali tutelati. Io credo che la risposta, per lo scenario europeo che sottende, non può che essere affermativa. Allora ulteriori norme, anche regionali, per accrescere o per assicurare attuazione per la prima volta alla tutela e alla valorizzazione della lingua friulana sono opportune. Beninteso se non sono vuoti proclami e se le azioni sono supportate da adeguate risorse economiche innanzi tutto, cosa che al momento non è stata minimamente affrontata poiché le norme in discussione non hanno alcuna copertura finanziaria. Ma soprattutto se realismo e gradualità saranno scelte imperative per l’agire. Gli eccessi e gli obblighi generalizzati sono bandierine ideologiche per pochi e devastazioni certe nei risultati di valorizzazione di una lingua, ovvero sortiscono l’effetto opposto a quello auspicato. È necessario innanzi tutto promuovere l’uso della lingua nella quotidianità, nelle famiglie e nelle comunità locali. Senza questo, ogni azione di tutela e valorizzazione diviene estranea, inefficace e inutile dispendio di risorse pubbliche. In questo contesto è strategico attuare l’inserimento della lingua friulana nella scuola, ma senza imposizioni. Per genitori e alunni, salvaguardando il diritto di scelta che a essi la legge riconosce e creando,nel contempo, le condizioni perché le scuole e gli insegnanti possano assicurare tutto quanto di competenza con continuità. È questo oggi il nodo da affrontare in tutte le sue implicazioni anche di rapporto con le autorità scolastiche statali e con le singole scuole autonome, dalle quali dipende l’intera programmazione dell’attività didattica per il friulano e non dalle elucubrazioni cervellotiche che per l’insegnamento si vogliono fissare con la nuova legge regionale. Non siamo all’anno zero, ma dobbiamo constatare che quanto fino a oggi è stato fatto ha poggiato soprattutto sulla passione e sull’abnegazione di tanti docenti piuttosto che sulla bontà delle scelte legislative e amministrative. Dalle scuole per l’infanzia alle scuole secondarie di primo grado, i docenti sono quasi novemila: a oggi poco meno del dieci per cento si sono dichiarati in grado o disponibili alle attività didattiche relative al friulano. È necessario, quindi, che accanto alle indispensabili attività di formazione vi sia, come già accade in altre regioni italiane, anche il riconoscimento economico, con uno specifico emolumento per la specializzazione dei docenti, come solitamente avviene nel mondo del lavoro pubblico e privato. Se non facciamo passi indietro rispetto a ciò che in questi anni si è consolidato, vedasi l’ambito territoriale di tutela e la grafia ufficiale, e affrontiamo positivamente la questione strategica scuola, certamente concorreremo ad assicurare un futuro alla lingua friulana. Basterebbe che prevalessero la ragionevolezza e la moderazione e non le istanze dei “talebani” dell’una e dell’altra parte. Come Udc lavoreremo per attuare questa progetto di futuro per l’intero Friuli Venezia Giulia.

    *Consigliere regionale Udc

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  2. Molinaro si dimostre un dai conseîrs regjonâi cun plui mistîr, ma o ai di fâ cualchi osservazion distès.
    Il so intervent al centre diviers ponts e a son tantis robis che o condivît (massime cuant che al riten il pluirilinguisim une oportunitât pe nestre regjon intune vision europeane dal Friûl).
    Però al fâs ancje un apel cuintri des imposizions e la libertât di sielzi: se si à voie di dâ lenghe furlane la stesse dignitât di chês altris materiis , o vin di superâ cheste maniere di viodi che al à Molinaro (cui mai si lamential di vê scugnût studiâ talian, latin, storie, matematiche, siencis...? Nus àn obleâts - e al jere just - ma no ducj o sin deventâts scritôrs, latiniscj, storic, matematics o sienciâts...). Une azion che si fondi dome su la cuotidianitât, tes fameis e tes comunitâts no baste: aromai la pression de lenghe taliane in ducj i setôrs de nestre societât e je deventade masse fuarte. No si pues limitâsi a une autotutele fondade su la spontanietât: nol baste! Se a esistin lis normis di tutele linguistiche al significhe che ae lenghe minorizade i covente une poie che le judi a stâ sù parcè te cuotidianitât no rive plui a resisti di bessole denant de lenghe maioritarie che i fâs pression (la lenghe taliane tal nestri câs furlan).
    O fâs une ultime considerazion par rimproverâ al conseîr Roberto Molinaro (UDC), ma no dome a lui, l'ûs de peraule "Talebans" che simpri plui spes o sint a doprâ ancje di personis che a son in impuartantis associazions culturâls.
    Chei che a sburtin par une difese fuarte de lenghe e de indetitât furlanis a stan te categorie che Molinaro al definìs "talebane": o prei Molinaro e ducj chei che si divertissin a doprâ cheste peraule di evitâ di fâlu par rispiet des personis, parcè che al sarès il câs di passâ cualchi setemane in Afghanistan par rindisi cont pardabon di cui che a son i Talebans (tra chescj ancje un ciert Mullah Omar laêt cun Bin Laden e Al Qaeda). La domande di rispiet di un dirit par garantî l'avignî de nestre identitât nol pues puartâ a cheste definizion che o riten denigratorie e ofensive. Po dopo o amet che Molinaro lu dopre ancje par i estremiscj contrariis, ma la sostance no gambie: lassìn pierdi tiermins che a son doprâts a sproposit almancul tai confronts di cui che al domande dome plui tutele a pro dal Friûl, dai furlans e dal furlan, ven a stâi dome ce che nus spietarès leint la Costituzion e simpri tal rispiet des leçs, des regulis e dai principis che a son ae fonde di une societât libare e democratiche.

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  3. No sta la fur tema, e savin ducj che no stin tabajant di int cul pick up toyota e cule mitrae.

    El pont central dal discors lu individui in: dimenticandosi che le fondamentali e non superabili norme in materia di opzione per i genitori all’atto della prescrizione lo Stato le ha già fissate quasi dieci anni fa e mi a someat un intervent ecuilibrat, un dai pocs che nol cjape posizions "fondamentalistes".

    Al contrari, el "integralismo ideologic", pal mut in cui al è proponut, sedi a pro, che cuintri, al e just definilu virgolettat "taleban", parce el esempli ultim di oscurantismo ideologjc.

    O preferistu "fassist" o "compagno che sbaglia" come che al è stat e al e di mode in Italie?


    Se tu ritegnis che "o vin di superâ cheste maniere di viodi che al à Molinaro" par "pression masse fuarte de lenghe taliane" e par une "difese fuarte de lenghe furlane" cmut aio di clamati?

    E lasse sta l'afghanistan che al e vonde lontan e cjale el sunt dal discors.

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  4. Ancje daûr dal sunt dal discors, chei che Molinaro al definìs i talebans (D'Aronco par esempli: ma che si vergoni) a vulin semplicementri il rispiet de leç e de costituzion talianis e europeanis.
    Chest al è il struc dal discors, e cui che al definìs taleban un che al domande normâl justizie al à nome voie di distrai dal "sunt dal discors". Dificil, podopo, acusâ di oscurantisim cui che al è pe libertât de diviersitâts: magari in chel sens si à di cjalâ a cui che al à intenzion di dinealis.

    Ma tant tu pretestuosamentri tu daressis ancje dal tener liberâl inocent a Menia, che lu cognossin ducj.
    Ah no, tu lu as zà fat! Po ben chê li mi à fat tant ridi!

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  5. Dal tenar liberal?!?

    Mi par dome di ve dite che no si po daj dal omp dal ventennio no?
    Soredut di no ricognossi cheste gnove agressivitat verbal di Christian, forsit, talore, ultimamentri, inceat un tic de sos convinzions.


    Ma, par sta in argoment, su obligatorietat, espres diniego e soredut sul furlan veicolar bisungne contale juste.

    Dibant e masse comut scandalizasi pal prof. D'Aronco, o tira fur Menia: come che al e just, che al insist christian e ancje tu sul furlanist, bisugne cjala i fats e no le persone, e se o vin el coragjo di di le veretat, certis pretesis o mior certis "posizioni" (al a dite posizioni Molinaro) e son vonde "fondamentalistes".

    No stoi a torna a tira fur el conciet di traformazion di un derit in t'un dovè parceche al ven fur un cantin infinit la che dificilmentri si cjatarin, ma le quistion e je lì in chel ecuilibri che cetanç e sburtin no par falu penda plui di une bande che di che altre ma par par rompilu.

    O dis dome che ancje sul to blog tu as mitut un biel post dedicat ai "neo-convertits" ideologjics, tema gjeneral che al segne le tendince a cjapa dutis lis robis come un dogma religjos insindacabil; el damp "collateral" al puarte a scombati le cuintriidee "infedel": une pratiche purtrop cetant difondude no dome tes derives e deviazions religjonses ma ancje in ches ideologjches, pulitiches e a cui no si gjave un tema come chel furlanist.

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  6. Thermo, i ten dome a marcâ une robe: i miei intervents sui gjornâi a son simpri stâts in rispueste a cjapadis di posizion strumentâls (Asquini, Ciani, Molinaro) po dopo i coments a Maran. La uniche menade di viole le ai dade a Menia, ma di un sempliç passaç che al jere intun coment li che la sostance e diseve che no vevi let un articul, tu tu lu âs trasformât intun reât di "Lesa maestà" (e l'ûs dal talian achì nol è casuâl).
    Dut chest par dî che propit parcè che ducj o savìn cui che a son i "talebans", o ai cjatât inmò plui brut che Molinaro al sedi sbrissât cussì in bas.
    Dut câs o fâs notâ une robe: o cjati une vore di plui discors su lis cuestions di bande di chei che a son a pro dai dirits linguistics, che no di chei che a son cuintri e che masse voltis si fasin cjapâ la man e a tachin a çavareâ. Se no tu crodis: CJALE ACHì

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  7. Condivido la lucida esposizione di Molinaro però dovresti cercare di capire che quel telebano che ti da tanto fastidio è un modo come un altro per dire estremista. Nel caso specifico penso che siano estremisti sia coloro che gridano o friulano o morte come te sia quanti negano l'importanza culturale della nostra lingua. Una volta gli estremisti venivano chiamati anche komeneisti per indicare quanti non hanno mai alcun dubbio sul fatto che solo la loro soluzione dei problemi sia quella giusta. Così con coloro che la pensano diversamente non si dialoga ma li si combatte e denigra come nemici ed è ciò che sta purtroppo accadendo da entrambe le parti anche per il dibattito sul friulano. Richiamare poi le materie scolastiche quali italiano, matematica, scienze, latino, ecc. per giustificare la tesi che anche l'insegnamento del friulano dovrebbe essere imposto per legge mi sembra che rappresenti un classico esempio di estremismo. Appoggerò sempre chi si batterà affinchè nelle scuole sia possibile imparare anche il friulano ma ciò non potrà costiture un obbligo bensì una scelta consapevole. Stato, Regione ed enti locali hanno il dovere di garantire questo diritto ma l'avvalersene è e deve rimanere una scelta di libertà.

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  8. Pal rompiscatole e par ducj chei che a fevelin di "furlan obligatori" come se a fevelassin dal diaul (a proposit o ricuardi che e je stade proponude la sielte di jessi esonerât che e permet a cui che no i free di imparâ il furlan di no jessi obleât a studiâlu):
    lis peraulis “imponi” o “obleâ” a produsin te plui part de int un sens di repulsion. Se però o pensìn ben, meti dentri il furlan tra lis materiis curicolârs, al vûl dome dî che si i da al furlan la stesse dignitât di chês altris lenghis e, plui in gjenerâl, di chês altris materiis insegnadis a scuele. Di fat, nissun al à mai dit che la matematiche, la storie o il talian a son stadis “imponudis” e che si à di lassâ la libertât di sielzi. La presince dal furlan tal orari curicolâr, se insuazade intun cuadri plurilengâl, no gjave timp a chês altris materiis e e jude lis scuelis a organizâsi in maniere plui semplice, a preparâ plui par timp i calendaris des lezions, e v.i.. La lenghe furlane e je une ricjece par ducj e e pues jessi un imprest di integrazion impuartant ancje par chei che, simpri di plui, a rivin in Friûl di altris bandis dal mont: dineâur la pussibilitât di cognossi la lenghe dal puest, cheste e sarès la vere discriminazion. E po, ce esempli daressino ai fruts? Che a son lenghis di serie A e lenghis di serie B. Alore cualchidun al podarès pensâ che a son ancje citadins di serie A e citadins di serie B?...

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  9. E se al fos scjampât a cualchidun, o torni a segnalâ chei che invezit di esponi in maniere civîl lis lôr posizions, a montin sul pulpit insultant chei che a domandi plui tutele pe lenghe furlane: LAIT ACHì.
    Cui isal estremist, jo o chei che a disin che o soi un nazist?

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  10. Biele ancje la citazion di Riedo Pup, che su La Vita Cattolica al diseve:

    Mil agns su la schene al à il popul furlan. Al è secui che il Friûl lu clamin (dome lui si po dî) “Patrie”. Nol è mai deventât ni roman, ni muc, ni venezian, ni austriac, ni sclâf. Al è restât furlan; al è restât popul furlan. Par secui, par mil agns.
    Po a son rivâts i fassiscj. Chei di prime e chei di cumò. Di une bande cence nissune diference fra di lôr: tant chei che chei a son mil agns lontans dal considerâ ogni culture, ogni lenghe, ogni storie di un popul une preziositât, une ricjece, un tesaur di conservâ, difindi e custodî; di chê altre, te tatiche, a son diferents. Chei di prime a àn sielzût la strade plui curte e plui fassiste: improibî di fevelâ furlan. In ufici, in scuele, in glesie. Chei di cumò, invecit, a àn capît che vuê, par scjafoiâ il furlan, no covente proibîlu: al baste no insegnâlu, tignîlu fûr dai mieçs di comunicazion, no lassâlu jentrâ tes scuelis, tes glesiis, te radio, te television.

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  11. E inmò plui biele e je une citazion di pre Antoni Beline, gjavade fûr di "Une scuele pai furlans", un librut a pene editât di Glesie Furlane e presentât ae Fieste Ladine 2007 a Sant Denêl:

    "Si è solits dâ la colpe di cheste insensibilitât a un sisteme ditatoriâl ipernazionalistic come il fassisim” al dîs pre Toni “In realtât il fassisim nol à fat che esasperâ fint al ridicul, o al tragjic, une tendence che e jere il pecjât di fonde de operazion unitarie: la mancjance di un progjet federalistic e di un rispiet minim pes realtâts culturâls che a jerin il patrimoni plui grant dal gnûf stât. Plui che condanâ il procès unitari, al va condanât il mût che al è stât pensât e puartât indenant...” Un sisteme che nol è gambiât cu la fin de ditature “Cussì il popul furlan” al continue pre Toni “si è cjatât escludût di un dirit-dovê come chel de istruzion, rapinât di une storie e di une identitât e colonizât”

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  12. Thermo, disint che tu âs difindût chel «tenar liberâl» di Menia o ai fat une fuarçadure la metât di chê che tu âs fat tu a dî che puar Chris i à dât dal «omp dal ventennio». Chris nol à det cussì.
    Podopo viodût che si stain sclarints lis robis e che tu tiris in bal Menia tant che «omp dal ventennio»... Jo o torni a dî che lu cognossin ducj, ancje tu. Cuindi content tu... Sastu alc di Villa Manin, no 1930 ma 2007?

    Par cont dai «ai "neo-convertits" ideologjics» jo o soi perfetamentri trancuil parcè che daûr dai fats come che tu vuelis tu, i furlans no an mai rot i cojons a di nissun e ancje cumò a domandin nome la atuazion di dirits scrits in leçs europeanis e talianis, ati ce talebans (rispueste valide ancje pal «rompiscatole»). Cussì tai fats no si pues dî dai talians!!!

    Taledibant clamâ in cause i talebans (tra l'altri citazion veramentri sfigade in zenerâl parcè che a va daûr dal mainstream dai gjornâi a la cocâl vie)

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  13. Almancul par cont dai furlans, par chel che al rivuarde i anti-furlans a an dit e a stan disint robis cussì di nivel bas e pretestuosis che zudiche tu...

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  14. E intant ancje "le posizioni telabane di D'aronco"par certans cumò a son deventades masse moderades.
    Ma viot ...tu, probabilmentri tu mi rispuindaras ma a chel che al a mitut el coment nancje un cic.

    Ville manin? boh?



    Ma sicome che tirais fur tocuts di discors a mi mi plas chest:
    Esiste dunque un’Italia dei variegati e straordinari “paesaggi culturali”, dei “mille campanili” e delle piccole Patrie. Un’Italia delle differenze che della rielaborazione originale di queste ha fatto il suo carattere e la sua grandezza.
    Un’Italia della fusione e della creazione culturale, memore della propria storia, anche quella dell’emigrazione.
    Un’Italia, questa, di cui il Friuli Venezia Giulia è parte e tassello in una straordinario mosaico.
    La destra deve avere il coraggio culturale e civile di opporsi allo smembramento di questa identità regionale italiana che passa tanto attraverso la retorica del multiculturalismo del Presidente Illy, quanto attraverso il terzomondismo di un assessore alla cultura di Rifondazione, quanto ancora da un estremismo autonomista che si fa largo trasversalmente agli schieramenti.

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  15. IN FRANCIA 40% ALLIEVI NON SA LEGGERE, SCRIVERE E CONTARE
    PARIGI - Erano già stati lanciati segnali d'allarme. Prima per il metodo di insegnamento considerato inadatto, poi per l'apprendimento delle tabelline. Le circolari sul livello, giudicato critico, della scuola francese, si sono andate moltiplicando negli ultimi tempi. Ora arriva un rapporto che conferma lo stato di crisi dell'istruzione in Francia: ogni anno, il 40% degli allievi, ovvero 300 mila giovani circa, escono dalla scuola primaria senza le nozioni di base, cioé leggere, scrivere e far di conto.

    Lo studio portato avanti dall' Alto Consiglio dell'educazione - un organismo composto da nove consiglieri nominati tra l'altro dalla presidenza della Repubblica - è un vero colpo al cuore per la Francia ed in particolare per quel mito della scuola materna, fiore all'occhiello della Republique. Il bilancio giudicato "severo" fa crollare dunque anche l'idea diffusa che tutti i mali della scuola francese e le sue insufficienze si formino al 'college',a la scuola media inferiore (11-15 anni). Niente di tutto ciò, bisogna andare ancora più indietro.

    Il testo, consegnato oggi al presidente Nicolas Sarkozy, è allarmante: 300 mila allievi che escono dalle primarie (6-11 anni) presentano "gravi lacune"; tra questi, 200 mila sono quelli che hanno conoscenze "fragili e insufficienti" per le nozioni fondamentali, leggere, scrivere e fare calcoli; 100 mila sono quelli che "non padroneggiano le competenze di base". Soluzioni? Non sono fornite, ma la miccia è accesa e rilancerà senza dubbio quelle polemiche che erano già scoppiate negli ultimi mesi in seguito ad una serie di altri rapporti, in particolare riguardo all'introduzione del metodo sillabico - in opposizione a quello globale - per insegnare ai bambini a leggere e scrivere correttamente. C'era stata poi l'introduzione - anche questa voluta dal ministero dell'educazione - del quarto d'ora di tabelline obbligatorio per rafforzare il calcolo mentale. E in seguito anche l'invenzione delle 'lezioni di vocabolario' per arricchire il linguaggio dei bambini. Se non propone soluzioni, lo studio lancia qualche chiave di lettura del fallimento della scuola francese.

    Dito puntato innanzi tutto contro gli insegnanti delle materne che non avrebbero una "formazione specifica". Sta di fatto che la scuola "non riesce a compensare" - si legge nel testo - la "disparità sociale" che esiste al di fuori dei banchi di scuola. I bambini che "dispongono di un ambiente favorevole a casa" saranno più bravi. L'affermazione suona come una sentenza per i bambini che non hanno la stessa fortuna. La scuola infatti "si rassegna" di fronte agli allievi che accumulano lacune su lacune, "incapace di instaurare un sostegno efficace". Per Le Parisien questo rapporto è "un buon motivo" per Sarkozy di lanciare una vera riforma della scuola.

    chest al jere sul ansa e o ai l'impresion che in italie no sin tant mior, e pensitu che si rivi a meti dentri inmo alc?

    Boh!

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